Il Percorso dell'Amore
di Piero Priorini
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… se anche gli amanti si perderanno l’amore non si perderà 
e la morte non vincerà.
Dylan Thoman
Storia plausibile dell’Amore
  dalle sue oscure origini al suo imprevedibile domani
   
È innegabile che in questo ultimo  decennio uno dei temi più frequenti, più dibattuti e anatomizzati, all’interno  del percorso analitico, sia quello dell’amore romantico. O meglio… quello della  mancanza dell’amore romantico come base per una vita di relazione sana,  autentica ed appagante.
  La coppia, oggi, è in  profondissima crisi e, se sommiamo la percentuale di matrimoni o convivenze che  si esauriscono nel giro dei primissimi anni, e la percentuale di quelle  relazione che – pur perdurando - sono invece pura facciata esteriore, il  panorama è davvero desolante.
  Ciò nonostante sembra che ognuno,  uomo o donna, pur avendo alle spalle un significativo numero di fallimenti, delusioni,  sconfitte e disinganni, non aspiri ad altro che a rintracciare l’anima gemella  da amare e dalla quale essere riamato; quella con cui finalmente risolvere  tutti i problemi che fino a quel momento lo avevano tormentato.
  Nel lavoro quotidiano mi sforzo  costantemente di mostrare la non pertinenza del problema, non lesinando sforzi  nell’indirizzare i miei pazienti verso quella fondamentale realizzazione di sé che è condizio  sine qua non ad un autentico Incontro con l’Altro… ma non c’è quasi mai  nulla da fare. Coattivamente il pensiero della maggior parte dei miei pazienti  torna al tema dei motivi che hanno determinato il fallimento di tutti i suoi  Incontri nelle due uniche varianti possibili: è tutta colpa mia! Oppure: è  tutta colpa dell’altro!
  La prima si nutre dei sentimenti  di auto-svalutazione, inadeguatezza o incapacità (fisica, sessuale, economica o  intellettiva) che la persona si attribuisce. La seconda è alimentata invece  dalla reattività, e quindi dalla rabbia o dal rancore furioso verso tutte quelle  incomprensioni e quegli inganni che gli appartenenti all’Altro Genere avrebbero  loro gratuitamente perpetrato.
  Il risultato finale di tutte  queste elucubrazioni è che uomini e donne si cercano senza trovarsi perché  intrappolati in una mancata realizzazione di sé che non potrà mai avere  nell’Altro la sua risoluzione. E in tutto questo marasma ci si incontra, ci si  ama, ci si perde…  si ricomincia da capo,  ma solo ferendo, distruggendo, offendendo, avvilendo, sconquassando l’Altro  senza ritegno alcuno. Ogni incontro è una speranza che si risolve in una guerra,  ogni apertura una ferita, ogni concessione una tortura. Sul volto quasi tutti  indossano una maschera sorridente; ma sotto la maschera l’ostilità è latente.  Si salvano i più giovani… solo perché sono all’inizio di questo doloroso percorso;  ma in generale, superati i 35, 40 anni di età la disillusione regna sovrana.
  Non poteva non accorgersene Z.  Bauman, professore emerito di sociologia nelle università di Leeds e Varsavia,  considerato uno dei più noti e influenti pensatori di questo mondo moderno, il  quale, dopo aver identificato nella liquidità la caratteristica precipua della società moderna, non poteva esimersi dal  riconoscerla pur nella vita di relazione. E così, nell’introduzione al saggio  intitolato appunto: “Amore liquido” egli presenta i suoi contemporanei come:  “…uomini e donne disperati, perché abbandonati a se stessi, che si sentono  degli oggetti a perdere, che anelano la sicurezza dell’aggregazione e una mano  su cui contare nel momento del bisogno, e quindi ansiosi di “instaurare  relazioni” ma al contempo timorosi di restare impigliati in relazioni  “stabili”, per non dire definitive, perché paventano che tale condizione possa  comportare oneri e tensioni che non vogliono né pensano di poter sopportare e  che dunque possa fortemente limitare la loro tanto agognata libertà di… sì,  avete indovinato, di instaurare relazioni.”
Le “relazioni virtuali” –  continua l’esimio professore -  sembrano  fatte su misura per uno scenario liquido-moderno come quello attuale:  frizzanti, allegre e leggere rispetto all’inerzia e alla pesantezza di quelle  vere… e, soprattutto, facile da troncare.
  Dal punto di vista della  psicologia del profondo, invece, questo scenario è dovuto alla immaturità e  alla fragilità dell’Io nucleico dell’uomo moderno contemporaneo che, se da una  parte manifesta un potenziale di autonomia mai prima raggiunto, dall’altra –  per motivi che esaminerò in seguito – si ripiega su se stesso molto prima di  realizzare tale potenziale. Producendo: da una parte individualità deboli,  insicure e fragili; dall’altra egoicità tronfie, arroganti, irresponsabili e  immorali. Cosicché per molti si tratta di essere schiavi della grandiosità del  proprio io, che tutto pretende dall’altro senza essere in grado di donare  nulla; per altri, al contrario, si tratta di essere vittime della propria  fragilità interiore. O, meglio, delle compensazioni nevrotiche che questa  stessa crea per cercare di tamponare il senso di panico che tale vulnerabilità  originaria determina di fronte al rischio che la donazione di sé contempla. In entrambi  i casi si tratta di persone disturbate che sognano qualcuno altro-da-se il cui  amore le riscatterà dalla propria solitudine. Stupefacente è solo la frequenza  con cui ci si incontra tra “opposti”, in una sorta di sado-masochismo  collettivo in cui tanto la vittima quanto il carnefice non fanno altro che  confermare se stessi.
  Ma in entrambi i casi – voglio  ripeterlo ancora - lo scambio affettivo non avviene perché – parafrasando  Pauline Réage - “Si può donare soltanto ciò che si possiede!”
  E gli uomini e le donne di questa  nuova era non si posseggono. Non possiedono se stessi… quanto piuttosto  immagini astratte, superficiali e patinate di sé.
  Questo il quadro contemporaneo.  Siamo tutti più o meno d’accordo. Ma che cosa è accaduto? Che cosa è veramente  accaduto al di là dell’accusa semplicistica e banale della perdita dei valori e  dei principi a cui, in epoche precedenti, si ispirava la relazione familiare?
  Ora spero che mi si vorrà  scusare: so bene che la dinamica storica che sto per descrivere non meriterebbe  di essere costipata entro le poche pagine di questo articolo… e che sarebbe  interessantissimo svilupparla dando respiro ad ogni singolo passaggio. Ma un  articolo è quello che: uno spunto di riflessione, uno stimolo, una provocazione  bella e buona da cui poi, chissà?... forse in un futuro, magari qualcun altro  che non il suo stesso autore, tirerà fuori qualcosa di più solido e  approfondito.
  Insomma… quello che intendo  proporre è un volo radente sulla storia della coppia umana, dal buio delle sue  origini alla fredda luce che oggi l’illumina.
  Il punto di partenza si perde  nella nebbia dei millenni, ma sono convinto di poter affermare che all’inizio,  quando la luce della coscienza iniziò appena a baluginare nel cervello dell’homo sapiens, e l’orda primitiva  prendeva le distanze dal mondo animale da cui proveniva, le esigenze di  sopravvivenza, sicurezza e riproduzione erano tali che la struttura  familiare più accreditata fosse quella  realizzata da un maschio dominante e più femmine da riproduzione, intorno a cui  ruotavano tutta una serie di altre figure di secondo piano. Ancora una volta  spero che nessuno si scandalizzi per quanto vado illustrando, commettendo  l’errore di valutare il passato sulla base di valori e principi la cui  validità  attuale riposa nel processo  evolutivo che li ha generati. All’epoca di cui sto parlando diritti e doveri  non esistevano: l’unico imperativo categorico era quello della sopravvivenza.  Di sé e, implicitamente, di tutta la specie.
  Perciò credo di poter affermare  che, agli inizi del tempo storico, l’amore non esistesse affatto. O, almeno,  non nelle forme e nei modi con cui oggi lo conosciamo. Più che altro era  attrazione – fortissima presumo – e istinto di protezione e cura (che andava  dal maschio alla femmina, dalla femmina madre al figlio, e da questi ai propri coetanei).  Una sufficiente quantità di dati biologici e fisiologici e, soprattutto,  l’imbarazzante sperequazione statistica tra maschi e femmine (che se non è proprio  sette a uno, come affermano le leggende, comunque ci si avvicina moltissimo)  sostengono l’ipotesi della poligamia come aggregazione primordiale naturale.  Anche le prime forme di auto-rappresentazione pittorica di queste comunità,  datate tra l’8000 e il 6000 a.C., non permettono certezze assolute; tuttavia,  sulla base delle successive forme di organizzazione sociale (che  presumibilmente risentivano del loro immediato passato), quello che si ipotizza  è una struttura familiare allargata con un uomo a capo di un insieme di  individui in un qualche modo imparentati tra di loro. Se infatti ora risaliamo  la storia, attraverso le civiltà persiane, assiro-babilonesi, egizie e greche,  quello che rintracciamo, soprattutto nelle alte sfere del potere politico,  religioso, economico e militare, è pur sempre la famiglia poligama nella quale  un uomo raccoglie più donne intorno a sé.
È vero… compaiono anche le prime  testimonianze di attrazioni individualizzate, le prime passioni amorose, ma se  evitassimo di cadere in quella aberrazione conoscitiva che con un neologismo di  mia invenzione ho chiamato antropo-modernismo (fantasia con la quale  immaginiamo l’uomo antico in tutto e per tutto identico all’uomo moderno), ci  accorgeremmo che appunto di una primizia si tratta. Timidi slanci dell’anima  che inizia a ricercare nell’Altro la parte incompiuta di sé. Le origini delle  relazioni umane, tuttavia, sono poligami, pur alimentando al loro interno la  solidarietà, la fiducia reciproca, la tenerezza e l’affetto.
Come che sia… io non sono uno  studioso di antiche culture, né un antropologo che ha realizzato lavori sul  campo; e non ho alcuna pretesa di spacciare per buone teorie che poi si  rivelino errate. Piuttosto sono uno strizzacervelli che ha letto molto e molto  viaggiato e che, nel proprio girovagare (intellettuale e materiale), ha trovato  spesso la conferma della poligamia come forma naturale e primordiale di  aggregazione familiare. O, almeno, questo ha rinvenuto in molte di quelle  culture le quali, rimanendo isolate dal processo evolutivo della restante  umanità, hanno finito per consolidare all’interno dei propri costumi una  pratica che doveva essere più antica e grossolana.
Bisognerà attendere Roma (la  civiltà romana e il suo diritto) nonché l’avvento del cristianesimo perché il senso  della propria identità (civile prima, spirituale poi) si affacci nell’anima  dell’essere umano spingendolo verso profondissimi cambiamenti
Ed è un fatto che la civiltà  romana e l’avvento del cristianesimo segnino un giro di svolta nella percezione  di sé dell’individuo medio. Così come è un fatto che l’amore romantico vero e  proprio nacque nel Nord Europa intorno al 1200, all’interno di quelle possenti  immaginazioni che ispirarono cantastorie, poeti e letterati dell’epoca. L’amor  cortese, come allora veniva chiamato nelle saghe che celebravano “Re Artu, i  cavalieri della tavola rotonda e la   Cerca del Santo Graal”, consisteva infatti in una vera e  propria passione spirituale grazie alla quale un cavaliere intuiva in un’unica  dama tutte le virtù del creato e ad essa prometteva dedizione assoluta e un  servizio permanente. E questo, indipendentemente dal fatto di poter contrarre o  meno con lei matrimonio. Molto significative, in tal senso, le storie  contrapposte di Lancillotto e Ginevra da una parte, e di Parsifal e Codwiramurs  dall’altra che, rispettivamente, rappresentano il fallimento o invece la  realizzazione della prova racchiusa nel mistero dell’amore umano.
Fatto sta che è da allora, ma  solo da allora, che l’amore romantico si radica nella mente e nel cuore  dell’uomo occidentale che, per tutta la durata dei secoli bui, continuerà a  meditare e riflettere sul suo occulto significato. Sarà l’alchimia, intesa come  coacervo di scienza e filosofia, a rivelarne infine il segreto individuando  nello Ieros Gamos (matrimonio sacro)  di Re e Regina e nella consequenziale nascita del Fanciullo Divino la realizzazione  dell’Opera. Ciò che giaceva allo stato grezzo viene così trasformato, il vile  metallo sublima in oro… alla fine dei tempi, ciò che è stato sacrificato viene  redento, l’amore sacro assolve la natura umana e la restituisce alla dignità  che le appartiene. La fine torna al suo principio, ma tutto ora è cambiato. Re  e Regina hanno fatto un lungo percorso e dalla istintualità animale sono  risaliti, attraverso mille sofferenze e tradimenti e abbandoni infami, alla  radice spirituale della forza inversa racchiusa negli istinti. Sono risaliti  attraverso la colpa del divenire, hanno attraversato il “campo della morte”  dove – scriveva M.Scaligero – figurativamente giacciono tutti gli amori mancati,  sprecati, dispregiati o smentiti. Hanno pagato un tributo salatissimo alla  morte, ma hanno proseguito… intuendo una luce dietro il buio, una verità dietro  le apparenze, una Vita oltre la vita… la loro consapevolezza è cresciuta, la  loro anima si è purificata e alla fine si uniscono in un abbraccio che annulla  tutte le separazioni. Re e Regina, Maschile e Femminile, si ricongiungono  portando la storia a compimento… realizzando alla fine, con un atto di amore  supremo, ciò per cui tutto è cominciato.
Ora… non mi sogno neanche  lontanamente di credere che i contemporanei degli alchimisti avessero assorbito  coscientemente queste idee; né tanto meno che lo abbiano fatto le generazioni  successive. Ciò nonostante questo è esattamente quello che è filtrato nella  coscienza collettiva occidentale che – consapevolmente o meno – da quel momento  in poi ha consolidato l’aspirazione all’amore romantico come traguardo  irrinunciabile.
Un paio di anni fa lessi un  bellissimo libro sul Dalai Lama - intitolato “L’arte della felicità” - nel  quale il suo autore, Howard C.Cutler, riporta i colloqui personali avuti con il  santo uomo. In uno di questi egli chiede a Sua Santità se si sentisse mai solo,  e la risposta negativa di questi da l’avvio ad una serie di riflessioni  sull’intimità e sull’amore. Cutler racconta allora a Tenzin Gyatso come tutti gli  occidentali siano di fatto ossessionati dalla speranza di trovare la così detta  anima gemella e, rispettosamente, chiede un suo parere. Il Dalai Lama sorride e  si mostra condiscendente con i nostri bisogni, riconoscendoli importanti con la  stessa bonarietà con cui si concederebbe legittimità ai sogni dei bambini… poi  racconta la sua esperienza di vita… sorride ancora, e indica a Cutler l’importanza  dell’intimità allargata. Come se quella, e solo quella, fosse la risposta al  nostro affanno
Per carità… Nulla da eccepire  sulla intimità allargata. Mi permetto tuttavia di sostenere che Tenzin Gyatso –  a prescindere dal grado di illuminazione che possa essersi conquistato – non  abbia potuto comprendere il segreto celato nell’ossessione occidentale  all’amore romantico. Non ha potuto perché la sua anima è orientale…  inequivocabilmente e compiutamente orientale, a dispetto del doloroso  pellegrinaggio forzato a cui la vergognosa occupazione cinese del Tibet lo  costringe da anni. Il Dalai Lama – e lo dico con un sincero rispetto – non può  comprendere la nostra ossessione né tanto meno il segreto che essa racchiude,  perché tale segreto è legato in maniera indissolubile a quello della solitudine  dell’Io occidentale. Come ho già accennato nelle prime pagine di questa  raccolta, e come specificherò meglio più oltre, la grande impresa  dell’occidente è stata quella di enucleare l’Io umano e portarlo a percepire la  propria dolorosa nudità. In un certo senso solo l’amore - l’amore sacro - potrà  ricomporre ciò che il fiume del divenire ha compiutamente separato.
Ma la strada è ancora  lunghissima.
Abbiamo perciò il tempo di  riprendere il nostro volo latente e osservare come, dal rinascimento in poi, la  fisionomia della coppia occidentale si faccia via via più strutturata fino a  raggiungere, con la nascita e lo sviluppo della borghesia, una identità  definita.
Certo… non mancano le magagne!  Siamo in piena decadenza del potere patriarcale. La donna sembra aver perso  quella consapevolezza di sé e quella dignità spirituale che nei primordi aveva  comunque rappresentato. E nell’uomo è profondissima la scissione tra l’immagine  sacra della donna (la madre dei propri figli) e l’immagine profana (la prostituta  dai mille piaceri). Spesso nella famiglia ci sono incomprensioni, segreti,  reticenze, tradimenti… e il disaccordo sembra regnare sovrano. Tuttavia questo  stato apparente delle cose non deve ingannare: la famiglia borghese “teneva”!  Con tutte le sue magagne era pur sempre un contenitore al cui interno c’era  posto per la tolleranza, il perdono, la complicità… e dunque per l’intimità e –  a voler essere spregiudicati – anche l’amore. Valori, principi, norme, e ideali  la supportavano come potevano, e qualcosa di buono alla fin fine produceva. Ma  era chiaro che non poteva durare.
Verso la fine dell’ultimo secolo  del secondo millennio il contenitore scoppia. Grazie all’uragano che nel ’68 -  dopo aver prima sconquassato l’America - investe l’Europa, e va a fecondare  l’animo sensibile della donna occidentale, le vecchie strutture crollano  rivelando tutta la falsità di cui oramai si erano fatte rappresentative. Il  movimento femminista punta l’indice accusatore e sotto la sua ira valori,  principi, norme e ideali deflagrano scompaginando l’intera struttura sociale.  Forse non tutto era da buttare… forse non tutto era così marcio… ma l’angelo  era passato e aveva decretato la fine di un’epoca. Forse non tutti erano  pronti… forse è stato commesso l’errore di credere che la “libertà da” fosse  sinonimo di “libertà di” o che l’Uomo Nuovo, portatore di una nuova etica, si  sarebbe affermato da sé e senza sforzo alcuno… forse la libertà incondizionata  dagli antichi vincoli ha creato una sorta di ebbrezza euforica che ha chiuso  gli occhi e ottenebrato le coscienze… 
Forse… forse… forse.
Fatto sta che la struttura  familiare della società occidentale sprofonda sotto l’urto e si disgrega,  generando l’inizio di quella condizione di “liquidità” (Baume) all’interno  della quale la maggior parte degli uomini e delle donne di oggi sta affogando.
Di fronte a un quadro così  spaventoso e avvilente si sentono voci di restaurazione: la chiesa cattolica,  con il suo imbarazzante carico di putridume, e le frange politiche reazionarie,  con il loro proprio carico di menzogne e nefandezze, ce la mettono tutta per  indicare nel passato l’unica via di salvezza.
Non posso non augurarmi che  questo mai possa avvenire. Ero giovanissimo quando apposi la mia firma per il  divorzio prima e per l’aborto poi. E lo feci sicuramente con quella  spensieratezza beota che prima denunciavo. Ero giovane, ero spavaldo, ero puro…  e credevo che tutte le nostre strade “avrebbero avuto un cuore”. Ho dovuto  peccare, e sporcarmi, e perdermi, e poi ancora sbagliare e ancora e ancora… per  comprendere quanto fosse presuntuoso il nostro progetto e quanto possente lo  spirito avverso dei tempi. Ho dovuto errare per capire, per non giudicare, per  assolvere e per sperare. Ma oggi so che la strada è solo in avanti. Se anche è  vero che lo spazio presente che occupiamo è fatto di orrori e delusioni, di  male gratuito e ingiustificato, di una sconcertante e asfissiante mancanza  d’amore, dietro c’è solo il baratro. Il vuoto senza fine di obblighi, doveri e  valori che da tempo hanno smesso di parlare all’anima umana e che solo le  canaglie o gli ipocriti possono ancora voler imporre.
  Uomini e donne oggi stanno  soffrendo e anelano rintracciare il bene perduto.
  Che è poi un Amore Perduto. 
  Ma il Bene Perduto non si trova indietro nel tempo, bensì  avanti – come scrive Gioconda Belli nel suo best-seller: “Waslala” – in una  sorta di “memoria del futuro”; cosicché tra l’ordine dogmatico del passato e la  degradazione autistica e narcisistica del presente, l’unica alternativa sembra  essere, oggi più che mai, quella del coraggio dell’immaginazione.
  “La perdita dell’Immaginazione –  continua la scrittrice – è una tragedia. Forse una delle più grandi tragedie a  cui assisteremo in questo secolo. 
  Tropo spesso si sono considerati l’ideale e la realtà come contrapposti, e là dove il  primo si dimostrava irraggiungibile si finiva allora per scartarlo,  giudicandolo illusorio e dunque pericoloso. Ma cosa accadrebbe se il reale e  l’ideale venissero considerati valori necessari in una dinamica infinita di  incontri e scontri? Se si pensasse che non si può fare a meno dell’uno per il  movimento ascendente dell’altro? Perché scartare l’ideale?”
  
Perché arrendersi di  fronte all’evidente disastro del presente e rifiutarsi di sognare; perché  vergognarsi e avere paura di tornare a giocare come quando, ancora immersi  nelle atmosfere lussureggianti dell’infanzia, ci immaginavamo tutti cavalieri  erranti e intrepide principesse, protagonisti insieme di mille avventure,  creatori e creatrici di nuovi mondi, capostipiti illuminati di una più evoluta  umanità.
  Il terzo millennio è appena  cominciato… e noi siamo qui: soli… senza principi a cui fare affidamento, senza  valori assoluti, senza più modelli da rispettare. Soli, con la nostra  responsabilità di uomini e donne moderne, soli di fronte alla nostra coscienza,  soli come forse non lo siamo mai stati. Possiamo scegliere: se girarci indietro  e andare a ricercare nel passato le sicurezze perdute, o se invece inebriarci  nell’oggi di sfrenatezze insensate. Oppure, ancora, ritornare a sognare con la  mente e con il cuore… e trovare poi il coraggio di giurare fedeltà alle  immagini che sentiremo riversarsi nell’anima.
  L’avventura dell’uomo e della  donna moderni, in tal senso, è appena incominciata e a nessuno, davvero a  nessuno è dato sapere dove mai li condurrà.
  Anche gli dei stanno a guardare…
  Tuttavia a me piace credere che  un giorno, magari lontano, uomini e donne riusciranno davvero ad incontrarsi.
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