Ristagno Libidico
un fenomeno dei nostri tempi?

di Piero Priorini

Devo fare una precisazione: le riflessioni qui riportate non vogliono e non possono pretendere alcun riconoscimento scientifico. Per quanti casi clinici io abbia osservato, infatti, il loro numero è troppo esiguo perché meriti una qualche attendibilità oggettiva. Piuttosto queste riflessioni vorrebbero essere un’ipotesi di lavoro, una supposizione risultata di un’osservazione continuativa della vita interiore degli esseri umani, iniziata nel 1975 e ancor’oggi da me proseguita.

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Non credo di essermi accorto del fenomeno che sto per denunciare in un determinato o preciso momento. Piuttosto, in questi ultimi dieci anni, man mano che venivo a conoscenza delle storie e delle vicende più segrete dei miei pazienti, soprattutto quelli più giovani, si andava configurando in me una perplessità che ben presto si trasformò in sospetto e, infine, in una vera e propria paura: la paura di un qualche terribile mutamento psico-biologico operante nell’umanità del terzo millennio. Forse la prima volta che ne presi coscienza fu nell’ottobre del 2010, ascoltando la storia di una giovane di 22 anni, studentessa universitaria, attraente e incantevole come possono esserlo solo le ragazze davvero belle di quella età. Alta, bionda, con un volto aristocratico e nello stesso tempo sbarazzino, impreziosito da due profondi occhi azzurri e da una bocca carnosa e ben disegnata.
- Come sono state le tue storie d’amore – le chiesi durante una delle nostre prime ore di analisi.
- Quali storie? – mi risponde lei, vagamente imbarazzata – io non ho mai avuto storie…
- Non sei mai stata fidanzata? Non hai avuto nessun tipo di relazione? – le chiedo perplesso.
- Ho avuto delle cotte. Certo: molti sogni ad occhi aperti… ho spasimato per molti dei miei compagni di scuola… ma nessuno mi si è mai filata più di tanto.
La ragazza sembrava aperta, sensibile, con un buon carattere, estroversa, simpatica…
Com’era possibile che fosse passata inosservata in quel periglioso “braccio di mare” che separa l’adolescenza dalla vita adulta vera e propria? Com’era possibile che nessun maschietto le si fosse accostato con intenti più o meno amorosi?
Tuttavia non era la prima volta che ascoltavo giovani uomini e giovani donne che mi raccontavano di un’adolescenza piatta, all’insegna di interessi risibili e lontana anni luce da quelle scaramucce amorose che hanno sempre contraddistinto quella età. Ragazzi che passavano il proprio tempo libero attaccati a Internet, oppure in attività ludiche o sportive tralasciando qualunque curiosità e interesse per i rappresentanti dell’altro sesso. Addirittura con una minima attività masturbatoria, nonostante la spinta fisiologica dell’età e la facilità di accesso a qualunque materiale erotico.
Com’era possibile? Stentavo a riconoscere in quei giovani le tensioni libidiche che avevano accompagnato non solo la mia generazione, ma anche quella dei miei genitori e, mi permetto di affermare, di tutte quelle precedenti alla loro. Quelle stesse sane tensioni che gli antropologi dei primi del ‘900 (Claude Levì-Strauss, Margaret Mead, Ruth Benedict e altri) avevano ritrovato e descritto perfino nelle società più primitive. Com’era possibile? Che cosa stava accadendo?
Continuai a vedere la mia giovane paziente e il caso volle che potessi accompagnarla nel suo primo fidanzamento che, di lì a poche settimane, si approfondì anche sessualmente. Per me fu piacevole e davvero commovente accompagnarla e sostenerla in questa sua prima esperienza che – forse, anche grazie all’analisi – fu per lei gradevole e soddisfacente. I due fidanzatini amoreggiarono per un paio di settimane, curiosando sui paesaggi sconosciuti l’uno dell’altro, assaporando con stupore le prime delizie dell’eros quando, all’improvviso lui le disse:
- Scusa… forse è meglio se tronchiamo. Non vorrei divenisse una cosa seria… vorrei essere libero.
Quando, più perplessa che addolorata, la mia paziente mi raccontò la cosa, facendo appello a tutta la mia esperienza riuscii a non mostrarmi sorpreso più di tanto. Liquidai la cosa come un’immaturità del suo amico e le suggerii di sparire senza chiedere spiegazioni ulteriori, né pietire attenzioni. La cosa funzionò talmente bene che dopo tre giorni lui era in ginocchio ai suoi piedi supplicandola di perdonarlo. Poi arrivò l’estate e la persi di vista. Non tornò più in analisi.
Ma il comportamento del suo fidanzatino mi aveva scioccato. Com’era possibile che un ragazzo di ventiquattro anni, con pochissima esperienza, si allontani dopo solo due settimane dalla bellissima ragazza che gli si è concessa per la prima volta? Com’è possibile esaurire, in due sole settimane, tutta la propria curiosità, la propria voglia di conoscere ed esplorare, il proprio urgente desiderio?
Come ho già detto non era un caso isolato.
Un altro ragazzo di ventuno anni mi era stato inviato da una madre disperata: da quattro anni il giovane viveva in casa, senza studiare, senza lavorare e, in pratica, senza vedere nessuno. Dalle ore 16 alle ore 21 ciondolava per la casa, smanettava sul computer, ascoltava musica, per poi fissarsi davanti al televisore fino alle 5 o alle 6 del mattino, digerendo due o tre film qualsiasi al giorno. Anni prima era stato un ragazzo normalissimo, discreto studente e ottimo giocatore di pallone. Era stato fidanzato e aveva avuto soddisfacenti rapporti completi con la propria ragazzina: la quale però, dopo due anni, lo aveva mollato. E lì era cominciata la sua “malattia”.
Nel tentativo di trovare qualcosa che lo attirasse nel mondo (un mondo che doveva terrorizzarlo moltissimo) gli chiesi un giorno se non gli mancassero le donne.
- Insomma… non poi così tanto – mi rispose laconico.
- Ma non hai voglia? – insistetti io – Non avverti la spinta del desiderio?
- Non così spesso… qualche rara volta.
- Ti masturbi allora?
- Direi di no… o, almeno, pochissimo – fu la sua scioccante rivelazione
Insomma: in questi ultimi anni ho ascoltato diversi ragazzi tra i diciotto e i venticinque anni che sembrano quasi completamente disinteressati alla propria sessualità e come refrattari a quella brama spasmodica, urgente e dolorosa che, da che mondo è mondo, ha sempre spinto ragazzi e ragazze in divertenti quanto epiche gesta amorose. A quel sano desiderio sotterraneo dal quale il perbenismo borghese e il sessuofobico pensiero cattolico hanno sempre cercato di difendersi, ma che aveva pur tuttavia sempre resistito, intrepido, nonostante tutte le calunnie e le diffamazioni cui era stato sottoposto. Negli anni ’60 e ’70, intellettuali, artisti, scienziati e persone comuni avevano combattuto in prima linea perché questo impulso ottenesse infine il giusto riconoscimento anche nella nostra civiltà occidentale; e per quanto non esente da pesanti ipoteche moralistiche o da eccessi compensatori, sembrava che alla fine la battaglia si fosse conclusa.
E ora, sul più bello… proprio ora che il desiderio ha potuto trovare libera espressione, molti ragazzi e ragazze sembrano improvvisamente indifferenti alla cosa, distratti, disinteressati, come estranei.
Che cosa sta accadendo? Un pensiero semplicistico potrebbe ritenere che proprio la facilità di accesso alla soddisfazione del desiderio possa averlo depotenziato. È un banale luogo comune ritenere che la piena disponibilità di una cosa distrugga l’interesse per quella cosa stessa. Di sicuro c’è qualcosa di vero in quest’affermazione, ma non credo che possa ritenersi esaustiva. Non credo proprio che la causa del problema, se di problema si tratta, sia da ricercarsi in questa direzione. Al contrario credo che le dinamiche in gioco siano molto, davvero molto più complesse.
Una prima attendibile spiegazione del problema, anche se parziale, la troviamo nel pensiero di Zygmunt Bauman1, all’unanimità riconosciuto come uno degli intellettuali più profondi e brillanti del nostro tempo. Come molti sapranno fu proprio Bauman a denunciare la “liquidità” delle strutture sociali moderne contemporanee, indicando con questo termine la perdita di stabilità, coesione e solidità delle stesse. E nel suo pregevole lavoro: “Amore liquido”, Bauman svela come proprio la paura di essere lasciati, rifiutati e abbandonati porti la maggior parte degli uomini e delle donne moderne – che evidentemente nascondono una qualche terribile fragilità di fondo - a non impegnarsi più di tanto nelle relazioni sentimentali; nel paradossale tentativo di evitare appunto tali dolorose esperienze. “Se non m’impegno e non mi coinvolgo – sembrerebbero pensare inconsciamente tutti costoro – di certo non correrò il rischio di essere ripudiato quando meno me lo aspetto.” Nessuno sembra far caso che sarebbe come se qualcuno dicesse: “Se evito di vivere non correrò il rischio di morire.” Di fatto, il risultato è che molti giovani, oggi, invece di ubbidire alla spinta del desiderio e buttarsi con naturale e spontaneo coraggio nelle esperienze amorose, aspettando di vedere a quali risultati porteranno, prima ancora di iniziare l’esperienza già si sottraggono, così mortificando il proprio desiderio. Imprigionandolo in una rete di pregiudizi inconsci che non possono che svigorirlo, minarlo nei suoi fondamenti e, infine, esaurirlo.
Credo sia impossibile negare attendibilità alla visione di Bauman. Solo che il nostro autore, essendo un osservatore attento delle dinamiche sociali, non può scivolare sotto il piano della fenomenologia di massa e andare ad osservarne le radici psico-biologiche individuali. Queste, piuttosto, sono materia di una psicologia del profondo che voglia provare ad entrare nel senso e nel significato della spinta libidica nell’evoluzione dell’uomo.
La premessa, per questo tipo d’indagine, è il concetto di Libido proprio della psicologia del profondo che, con questo termine, non intende il nudo e crudo “istinto sessuale” né, tanto meno, l’eros. La Libido, per C. G. Jung, è piuttosto un’energia vitale indifferenziata, una tensione psicofisica che, nel procedere dell’evoluzione di ogni singolo individuo, dalla originaria funzione nutritiva migra attraverso attività sempre più differenziate sino a raggiungere la funzione sessuale. Ma qui non si arresta; piuttosto si trasforma in funzioni ancora più complesse e diversificate arrivando ad esplicitarsi, infine, nelle manifestazioni più alte e più proprie dello spirito umano (come ad esempio la genialità, la creatività artistica o la devozione religiosa). Queste ultime, perciò, non si presentano come la sublimazione di una sessualità originaria (Freud), quanto piuttosto come la massima maturazione di un’energia vitale che, movendo, da arcaici stati indifferenziati e passando per la sessualità e per l’eros, si attesta infine verso mete sempre più evolute.
Ciò detto, possiamo provare ora a chiederci quale sia la funzione e il significato della sessualità nel più ampio contesto della vita spirituale umana. Certo! A questo punto, se ci sentiamo di dover restare pedissequamente ancorati alla teoria darwiniana della “continuazione della specie”, come vorrebbe il “riduttivismo materialistico”, la nostra indagine sarà costretta ad arrestarsi. Ma se liberiamo il nostro pensiero e osiamo ruotare di 180 gradi il nostro punto di osservazione (così che i fiori e i frutti di un albero non siano interpretati come epifenomeni collaterali e non necessari dei processi chimici attivatisi in un seme, bensì come il coronamento dello sforzo cui quegli stessi processi tendevano), osserveremo allora che il nostro orizzonte si amplia e che i fenomeni in esso inserito acquistano un più profondo significato.
Se dunque la Libido può essere intesa come un’energia vitale che, da uno stato indifferenziato delle origini, migra ed evolve verso funzioni sempre più differenziate e creative, possiamo allora provare a seguirla nel suo dispiegarsi temporale. All’inizio, come ben rappresenta l’Uroboro (il serpente che si mangia la coda) essa ruota su stessa, in un processo circolare che non ha inizio né fine e nel quale ogni funzione si confonde con tutto il resto.

Uroboro                  feto umano

È probabile che questa sia la condizione della Libido nel feto umano: possente ma elementare, indifferenziata, caotica. Contenente in potenza tutto ciò che solo progressivamente si andrà differenziando e sviluppando.
La psicologia del profondo chiama questo stadio: “Narcisismo Primordiale”, in sé e per sé naturale, sano e necessario alla creazione di quella piattaforma interiore sulla quale verrà successivamente edificata la personalità egoica. La nascita spezza quest’armonia primordiale, interrompe il fluire circolare della vita ripiegata su se stesa e la costringe ad aprirsi al mondo. Tuttavia, all’inizio, il mondo del neo-nato è ben ristretto, terminando e richiudendosi sul seno e sul corpo della madre. Solo molto lentamente, man mano che il bambino si stacca e si emancipa dal corpo della madre e inizia ad esplorare il mondo, la frattura si cicatrizza e lascia la Libido libera di indirizzarsi verso mete sempre più lontane. È un processo straordinario che sarebbe interessante seguire in tutte le sue numerose e sottili metamorfosi, ma che richiederebbe per questo una ben altra trattazione. Quello che a noi qui interessa è osservare, invece, ciò che accade nel momento in cui gli organi sessuali giungono a maturazione nell’uomo o nella donna (in genere tra i dodici e i quindici anni) permettendo alla Libido di manifestarsi come sessualità. Ebbene, in questo drammatico momento evolutivo che ogni essere umano attraversa la cosa più significativa non è la capacità o la possibilità di procreare bensì il fatto che un altro essere – qualcuno Altro da sé – susciti all’improvviso una forza di attrazione irresistibile. Quando l’oggetto del desiderio sessuale finalmente si fissa, infatti, ciò che più conta è il definitivo dispiegarsi della corrente libidica verso l’esterno. Il desiderio spinge verso l’Altro, verso lo sconosciuto, verso un mondo inesplorato che è “persona” e nello stesso tempo simbolo vivente della più ampia realtà del mondo esterno. La Libido esce definitivamente dalla fase narcisistica e comincia a scorrere verso l’esterno. La sua forza è dirompente, travolgente, ossessiva – anche se in alcuni individui di più e in altri di meno, secondo le caratteristiche biologiche e temperamentali che sono loro proprie – e si fa metafora vivente del potenziale superamento della propria limitata egoità. Compresa e conosciuta nella sua più intima natura, la Libido – per usare le parole del poeta – “conduce alla trasparenza del mondo”. Chi ama si libera di se stesso e, magari per brevi attimi, dilata la propria anima fino ad abbracciare l’universo intero.
Non a caso il grande filosofo russo della fine dell’ottocento, Vladimir Sergeevic Solov’ëv2, nel suo celeberrimo saggio intitolato “Il significato dell’amore” (ma che in lingua originale titolava: “Trattato sull’erotica”), con visionario acume scriveva:
“C’è una sola forza capace di sradicare l’egoismo dall’interno e fino in fondo: è l’amore, innanzitutto l’amore sessuale. La menzogna e il male dell’egoismo consistono nell’attribuire esclusivamente a se stessi quel valore assoluto che viene negato a tutti gli altri. La ragione ci mostra come questo sia ingiusto… ma è solo l’amore che elimina concretamente questo atteggiamento ingiusto, costringendoci a riconoscere il valore assoluto di un Altro…”
E ancora: “Il trasferimento di tutto il nostro interesse vitale da noi stessi nell’altro, lo spostamento del centro stesso della nostra vita personale è proprio di ogni amore ma, essenzialmente, lo è dell’amore sessuale”.
Sono impressionanti queste parole negli scritti di un uomo vissuto più di cento anni fa ed intriso, fin nel midollo, di spiritualità cristiana. Per me, tuttavia, Solov’ëv è sempre stato un fulgido punto di riferimento. Non credo di offenderlo affermando che, ai nostri giorni e all’interno della nostra cultura, sarebbe stato il primo a sottolineare il carattere metafisico del Desiderio Sessuale. È il desiderio, infatti, che rende reale e concreto l’amore obbligandolo nei limiti dell’esistenza concreta, qui e ora, entro le forme dell’Altro che del suo io interiore sono la manifestazione. Il Desiderio proviene dal centro stesso dell’Io e solo in seguito, varcati i confini dell’anima, si fa fisiologia, chimica, sostanza. Ne è la riprova che in un’epoca di esaltazione scientista, nessun farmaco (nemmeno il Viagra, contrariamente a quel che si crede) è in grado di suscitare il desiderio: può solo ottimizzare il meccanismo fisiologico necessario alla funzione sessuale, ma non può andare oltre. Il Desiderio è una prerogativa dell’Io. È una sua libera ed autonoma espressione che segue percorsi, motivi e fantasie sui quali a nessuno, tranne l’Io stesso, è dato gettare uno sguardo.

Per tutto ciò, se i miei sospetti un giorno dovessero essere confermati, la natura del “male” a cui alludono potrebbe rivelarsi devastante. Potrebbe trattarsi di una vera e propria malattia dello spirito.
I nostri giovani, almeno in parte, sono l’espressione del mondo che noi adulti abbiamo riservato loro. Sono cresciuti in una cultura in cui si respira l’incubo della guerra, del terrorismo e di qualunque altra forma di violenza criminale. Sono stati cresciuti in compagnia dell’incertezza - ecologica, energetica ed economica - e sono stati invece educati al superfluo, all’esteriorità e all’inessenziale. Molti di loro non conoscono - se non in maniera superficiale - il regno della natura e il gioco dell’avventura fondata sulle proprie capacità e risorse. Un numero forse ancora maggiore non è stato educato a pensare né tanto meno a leggere. Piuttosto, con la scusa di prepararli ad un futuro tecnologico, fin da piccoli li abbiamo abituati alla pubblicità martellante, al computer, al cellulare, ai fatui giochetti elettronici. Cosa che, in altre parole, significa aver precluso loro l’accesso ai mondi interiori, gli unici nei quali l’Io, ammantato di fantasia, può intrattenersi per allenare la propria volontà.
Forse è il mio stupore ad essere inopportuno: perché dovrei inorridire, quasi cadessi dalle nuvole, contemplando l’inedia che sembra diffondersi tra tanti giovani. Perché dovrei stupirmi nel registrare una indifferenza sessuale che mai avrei immaginato possibile?
Molti ragazzi, oggi, sembrano vivere raccolti in se stessi: a scuola si trascinano, curandosi soltanto di apparire più “fichi” possibile. Come ha ben documentato l’insegnante Paola Mastrocola3 molti di loro, la mattina, passano ore davanti allo specchio provando e riprovando costosissimi abiti firmati che dovrebbero farli apparire “casual” e trasandati. Molte altre ore del giorno le passano al cellulare o al computer, chattando di nulla e costipandosi del superfluo. Gli auricolari, spesso fissi nelle loro orecchie, si incaricano di eludere la voce del mondo. Se leggono, leggono fumetti.
Si sono nascosti in se stessi, là dove, forse, si sentono più al sicuro. Perché dovrebbero uscirne? Perché dovrebbero osare esporsi e magari – come ha scritto Bauman – rischiare di essere offesi, rifiutati o abbandonati? Perché dovrebbero Desiderare, e scoprire poi che l’oggetto dei loro desideri - che sia un altro loro simile, o il mondo o la vita stessa – sarà loro precluso per sempre?
Tutti noi siamo responsabili verso questa nuova generazione: abbiamo tolto loro la Fede! La fede nella Vita, la fede nel Mondo, la fede nell’Amore. Perché ci stupiamo? Perché rinunciano a vivere? Perché non “scopano”? O perché lo fanno troppo poco?
Non stupiamoci. Si sono ritirati nel loro guscio narcisistico: si vestono come se ogni uscita fosse una rappresentazione teatrale, vanno in palestra per plasmare il proprio corpo, digiunano per renderlo simile ai modelli alterati che gli abbiamo sbattuto sotto gli occhi, lo imbrattono di tatuaggi che nella loro diversità sono tutti uguali, lo modificano con la chirurgia estetica, lo bucano, lo alterano, lo espongono… ma solo perché sia guardato, apprezzato, adorato. Forse anche desiderato! Ma senza che il gioco prosegui poi oltre… ci mancherebbe altro! Rimanendo distanti, l’apprezzamento intuito nello sguardo dell’altro può divenire un alimento molto appagante. L’importante è che ognuno trattenga il proprio desiderare all’interno del guscio narcisistico nel quale si sono nascosti. Guai “andare a vedere”! Guai a mettersi in gioco! Guai a rischiare!
Ma il risultato, come ho già detto all’inizio di quest’articolo, è il depotenziamento libidico. L’umiliazione e la mortificazione della Libido intesa come energia vitale che, dall’alba dei tempi, ha sempre fluito dal nucleo dell’uomo verso il mondo. Il risultato finale - se non fosse per l’immensa forza che la contraddistingue – potrebbe essere una sorta di permanente ristagno.

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Il narcisismo, come patologia psichica, è sempre esistito. Ne hanno parlato Freud, Reich, Jung, Lowen e quanti altri, nel corso di quest’ultimo secolo, hanno tentato di descrivere il “male di vivere” che tutti quanti ci accomuna. Non è certamente una sindrome emergente dei nuovi tempi.
Ma se la patologia è antica, allarmante potrebbe essere la sua diffusione nel più ampio tessuto sociale e del tutto nuove (o almeno da rivisitare) la sua eziologia e la sua “cura”.
Come tutti sapranno, Narciso è un personaggio della mitologia greca famoso per la sua bellezza. Fatto oggetto del desiderio d’amore di uomini (versione ellenica) e donne (versione romana) egli però si dilettava nel respingerli, indifferente ai loro feroci tormenti (come nel caso della ninfa Eco) o alla loro morte per amore (Aminia). Inevitabile e inesorabile la punizione degli Dei: Nemesi condannò Narciso ad innamorarsi perdutamente di se stesso, con ciò decretandone il suicidio.
Al di là delle varie versioni e delle varie interpretazioni psicanalitiche, il particolare su cui vorrei soffermare l’attenzione del lettore è appunto quello della sua morte: privato della possibilità di soddisfare il proprio desiderio d’amore, Narciso si suicida. Infatti, occorre un Altro-da-sé per soddisfare il proprio desiderio. Occorre un “oggetto”. Un “essere”. Un “mondo”. Qualcuno verso cui fluire. Qualcuno da incontrare e fecondare, affinché possa esistere un Futuro. Tutto il resto è ristagno. Palude melmosa. Coagulo insulso. Morte.
Il destino di Narciso racconta il pericolo che incombe sulla energia vitale di ognuno di noi: privata di un “oggetto” verso cui dirigersi, infatti, la Libido si estingue. Privata di un “oggetto” da fecondare, la Libido si atrofizza, si prosciuga, si fa sterile forza ripiegata inutilmente su se stessa. Non produce più novità, non genera futuro. È condannata alla morte per entropia.

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1) Zygmunt Bauman - Amore liquido - Ed Laterza - 2003
2) Vladimir S. Solov’ev - Il significato dell’amore - Casa di Matrionia - 1974
3) Paola Mastrocola - Togliamo il disturbo - Guanda - 2011


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aggiornata il 14-02-2013

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