Clinica… oggi.

di Piero Priorini

Mentre procedevo alla ristrutturazione di questo sito mi sono chiesto, giunto a questo punto, se avesse senso dedicarmi alla descrizione delle sindromi e dei sintomi oggi più frequenti in uno studio di psicoterapia. In effetti se fino ad un decennio fa sarebbe bastato entrare in una qualsiasi libreria più o meno specializzata per trovare tutte le informazioni necessarie, oggi, con Internet, anche questo piccolo sforzo è stato reso superfluo. Basta un click, e tutte le informazioni che cerchiamo sono a nostra disposizione. Mi domandai, perciò, se fosse davvero utile, da parte mia, continuare ad aggiungere ulteriore materiale a ciò che aveva già superato la soglia del superfluo?
No! Non lo credevo. Sarei stato inevitabilmente succinto, riduttivo e, in fin dei conti, inutile.. E tuttavia, proprio perché mi stavo proponendo in Rete, come esimermi? Come mancare di raccontare l’approccio della psicologia del profondo con il disagio degli uomini? Così, alla fine, pensai bene di offrire appunto una estrema sintesi simbolica delle patologie più frequenti, dichiarandone apertamente la genericità e l’estrema semplificazione. Ma sottolineando come, in quasi tutte le patologie, possa essere rintracciata una mancata strutturazione dell’Io o, se vogliamo, una perdita di quell’equilibrio autonomo di base sul quale dovrebbe fondarsi la vita di ogni uomo e di ogni donna che abitano questo pianeta.

 

Disturbi alimentari

Fino a qualche anno fa in psicologia clinica si era soliti distinguere l’anoressia, la bulimia e il vomiting. Più recentemente però si è finito per accorparle tutte - nonostante l’apparente, estrema polarità delle motivazioni sottostanti, dei meccanismi di difesa attivati e della conduzione sintomatica – in un'unica sindrome: quella dei Disturbi Alimentari.
CLINICA 1Questo è avvenuto per due principali motivi: il primo perché quasi sempre l’una ha come “ombra” l’altra (nel senso che l’anoressia strenuamente si difende dall’attrazione verso la bulimia e viceversa); il secondo, a mio avviso ben più importante, perché tutte e tre rimandano alla perdita del significato e del valore reale del cibo esaltandone il significato simbolico.
Il corpo umano possiede dei regolatori di straordinaria efficienza. Per osservarli in azione basta vedere quello che accade ad esempio in una persona equilibrata sottoposta ad una lunga disidratazione. Dopo una prima, spasmodica assunzione di liquidi, gradualmente la “sete” va placandosi fino a raggiungere un definitivo stadio di saturazione idrica. A quel punto si smette di bere. L’organismo ha raggiunto esattamente ciò di cui aveva necessità per ben funzionare. La stessa cosa avviene per il cibo, e anche le stesse “innocenti” violazioni che, chi più chi meno, tutti compiamo si realizzano sotto la spinta di motivazioni sulle quali l’Io mantiene un certo controllo. Tali sono ad esempio la dieta sportiva o estetica, e i così detti “peccati di gola”.
Nei disturbi alimentari invece la valenza simbolica del cibo assume una priorità assoluta, scalzando l’Io dal ruolo di soggetto protagonista che dovrebbe essergli proprio. Quello che la maggior parte dei pazienti sperimenta durante le crisi alimentari è il “salto” da uno stato di coscienza in cui l’Io è il protagonista della propria vita ad uno “Stato Altro” in cui predominano le motivazioni simboliche attribuite al cibo e al “corpo”, il quale ultimo diviene così uno dei migliori “capro espiatori” a nostra disposizione.

 

Bulimia degli acquisti

La gratificazione proveniente dall’acquisto di cose od oggetti in sé e per sé non è certamente un fenomeno nuovo. Rimanda all’esistenza di tutta una serie di bisogni elementari necessari all’Io per affrontare le prove più o meno significative della sua esistenza terrena.
Nuova, piuttosto, è la perversione a cui questa compulsione è giunta nell’attuale società moderna. Non a caso la maggior parte dei più attenti osservatori (dal nostro Umberto Galimberti a Zygmund Bauman) fa riferimento alla nostra epoca come a una “Società del Consumo” all’interno della quale ogni cosa viene consumata in un delirio di possesso che spesso ne esclude l’uso, e che viene poi “buttata” non solo al più piccolo mal funzionamento bensì anche e soprattutto per disinteresse o per noia. Beni di consumo e relazioni umane perciò, paradossalmente, vengono “consumate” nel brevissimo momento del loro “essere acquisite”, per poi essere dimenticate.
CLINICA 2Lo shopping, anche se non così chiamato,  è molto probabile che sia sempre esistito fin dalla preistoria degli scambi commerciali, ma si aveva il buon gusto di considerarlo per quello che era: una gratificazione sciocca ai propri bisogni narcisistici sulla quale si poteva soprassedere. Il paradosso attuale è rappresentato invece dal fatto che lo shopping venga non tanto giustificato, bensì elevato a principale motivo di occupazione, sia durante la vita di tutti i giorni sia durante le festività che nelle occasioni di viaggi. Soltanto la pubblicità volta a stimolarlo potrebbe essere motivo di un trattato sul plagio occulto e l’istupidimento delle coscienze.
Da un punto di vista psicodinamico, ancora una volta, esso allude al mancato raggiungimento della “Centralità dell’Io”. Al suo posto viene piuttosto percepito un “vuoto” che occorre “riempire” in un qualunque modo. Molte persone oggi confondono il piacere derivante da una consapevole realizzazione di sé dalla soddisfazione breve e fuggevole derivante dall’acquisizione di oggetti che, appunto in quanto tale, va continuamente reiterata. Il paradosso è che, oggi come oggi, non c’è più nemmeno lo spazio per un sano senso di colpa, perché la compulsione è invece giustificata ed esaltata anziché essere indicata come sintomo di malessere.

 

Attacchi di panico

Anche quella degli attacchi di panico è una sindrome emergente. Negli anni ’70, ’80 e ’90 sui manuali di psicanalisi in pratica non esisteva. O, almeno, non esisteva come tale. Volendo la si sarebbe potuta rintracciare tra le più accreditate sindromi di agarofobia, claustrofobia e via dicendo. Sta di fatto, comunque, che nella nostra epoca è uno dei disturbi più frequenti e più perniciosi. I sintomi, che possono arrivare a compromettere quasi del tutto l’autonomia e la libertà di movimento delle persone che ne sono affette, sono spesso molto aggressivi. Vanno dalla perdita parziale o totale dell’equilibrio, alla tachicardia, cefalea, sudorazione fredda, annebbiamento della vista e – fenomeno spesso presente – una sorta di sensazione assoluta di morte incombente.CLINICA 3
Scusandomi ancora una volta per l’inevitabile banalizzazione derivante dalle generalizzazioni, si potrebbe dire che il motivo profondo di queste “tempeste fisiologiche” possa essere rintracciato in un disaccordo, altrettanto grave e profondo, tra le istanze dell’Io; un disaccordo che tende a manifestarsi ogni volta che una particolare situazione di vita si trova a ben rappresentare, per quella specifica persona, il motivo simbolico del suo proprio dissidio interiore.
Uno dei miei tanti pazienti di tanto tempo fa era un brillante libero professionista, sposato da molti anni e con tre figlie maggiorenni. Negli ultimi tempi prima di incontrarmi entrava in devastanti crisi di panico ogni volta che, per lavoro, doveva prendere l’auto per raggiungere Bologna, Milano o piuttosto Torino. Dopo poche sedute, tuttavia, venne fuori che il mio paziente, da qualche anno, aveva ristabilito il rapporto d’amore con una donna che aveva molto amato in gioventù e alla quale aveva rinunciato per un matrimonio di interesse. I due amanti, una volta ritrovatisi, di comune accordo avevano stabilito di mantenere un rapporto trasgressivo occasionale. Ma l’inconscio del mio paziente non era affatto d’accordo con la sua mente razionale. Dopo tanti anni di “matrimonio facciata”, anelava alla possibilità di cambiare vita e le fantasie che covava in tal senso erano ben più pretenziose di quelle che realizzava nei brevi incontri clandestini con il grande amore della sua vita. Montare in auto, e partire, aveva perciò assunto per lui la valenza simbolica e reale nello stesso tempo di allontanarsi dalla propria vita attuale per riprogettarsi in una altra, vissuta questa volta a fianco della donna che amava. Ma quando questa eventualità, attraverso i viaggi di lavoro, si faceva simbolicamente possibile, scattavano contemporaneamente tutti i dubbi, le paure e le resistenze ad abbandonare la vita che aveva fino a quel momento vissuto. Con il risultato di creare uno sconquasso neuro-endocrino-umorale che ogni volta sembrava ucciderlo.

 

Dipendenze

Per Dipendenza si intende quello stato interiore di sudditanza verso una persona, una sostanza o una singolare attività, da impedire al soggetto che ne è succube qualunque affrancamento. E questo nonostante il giudizio critico del soggetto stesso che in genere, invece, se ne dichiara capace non appena avrà raggiunto il convincimento di doverlo fare. In pratica si tratta di razionalizzazioni menzognere, volte a giustificare ai propri occhi l’assoluto stato di servilismo e sudditanza. O, ancora una volta, quella condizione di “Vuoto Interiore” – progettuale, esistenziale o spirituale – che appunto la dipendenza permette di occultare. Molto spesso, infatti, l’altro, la sostanza o il gioco assumono una valenza metafisica
Le dinamiche a cui rimandano le dipendenze sono varie e complesse, differenziandosi a seconda del tipo di dipendenza stabilita. In genere raccomando agli alcolisti e ai tossicodipendenti di usufruire del servizio svolto da comunità terapeutiche specifiche (tra le quali colgo l’occasione di encomiare l’Anonima Alcolisti), perché ben difficilmente una terapia individuale potrebbe supportare la mancanza – fisica e simbolica - rappresentata dall’interruzione della somministrazione abituale. Più abbordabili alla psicoterapia, invece, sono le dipendenze dal gioco d’azzardo o (con tutte le riserve del caso, dovute alla novità assoluta della sindrome) dall’emergente dipendenza dal “Virtuale” (TV, Internet, Giochi da computer) dalla quale molti giovani oggi sembrano minacciati. Ben adeguata invece è la psicoterapia per tutte quelle forme di dipendenza affettiva della quale ho già parlato nell’ articolo specifico contenuto in questo stesso sito.
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Nella giungla di dinamiche e meccanismi psichici sottesi dalle dipendenze un elemento mi sembra tuttavia comune: l’inconsistenza della volontà del soggetto di fronte alla possibilità di dover sopportare un dolore, una mancanza, o una perdita definitiva. D’altra parte, in una società edonistica, superficiale e leggera come quella nella quale viviamo, siamo lontani anni luce dall’educazione alle frustrazioni, alle sconfitte o ai colpi di sfortuna ai quali le generazioni che ci hanno preceduto venivano invece preparati. E ho lo sgradevole sospetto che un margine di tolleranza onnicomprensiva, buonista e ingenua spesso infici anche l’intervento psicoterapico.

 

Disfunzioni sessuali

CLINICA 5Bhè… cosa dire? Dovrei essere io stesso ricoverato se ritenessi di poter riassumere in poche righe quello che ritengo essere uno dei temi più articolati e complessi dei quali si possa parlare. Non tanto per la vastità degli ambiti, che vanno dall’amore platonico all’orgia dionisiaca, dalla passione romantica alla ginnastica sessuale e dall’amore consacrato nel matrimonio a quello mercenario. E nemmeno per la vastità delle patologie, che vanno nella donna dall’anorgasmia al vaginismo e alla ninfomania, nell’uomo dalla disfunzione erettile alla eiaculazione precoce, e per entrambi passano attraverso le più disparate perversioni: pedofilia, sadomasochismo, feticismo, vojerismo, stupro e quant’altro. No! Ripeto, non è la vastità della materia a preoccuparmi, quanto piuttosto la vastità quasi inconoscibile di tutto ciò che sulla funzione dell’amore, sessuale e non, è stato detto e ridetto, contestato, alluso, affermato, smentito, riconfermato e poi negato.
Già la presenza di tutto questo materiale dovrebbe bastare a suffragare il sospetto che, lungi dal trarre le proprie origini e dall’esaurirsi nella funzione biologica della sopravvivenza della specie, l’amore umano allude al mistero stesso della nostra esistenza. Quasi come se nell’unione profonda, fisica, psicologica e spirituale dell’uomo e della donna si celasse il segreto stesso delle origini della nostra avventura nel tempo e nello spazio.
Perciò, nel rinviare il lettore paziente al mio articolo “Ma quale sesso e sesso” contenuto in questo stesso sito, non posso che accontentarmi di sottolineare, magari solo di sfuggita, come tutto questo materiale possa essere ordinato e, forse in parte, compreso solo accogliendo l’idea della profondità che si cela dietro il mistero dell’Incontro e della forza sacra, spaventosa, incontenibile e indicibile che si riversa nell’amore umano. Sano o malato che esso sia. Fondamentale, a questo scopo, sarebbe altresì comprendere come, nella sessualità umana più di ogni altro ambito, sarebbe essenziale applicare la massima goethiana: “Tutto l’effimero non è che simbolo”. La frequenza e l’intensità dei rapporti, le modalità dell’amore, lo scambio con il partner, le fantasie consce e inconsce, le abitudini, i tabù e le inibizioni, lungi dal raccontare la sessualità di un uomo o di una donna, parlano invece della loro natura spirituale più profonda. Svelano il sacro, manifestandolo sotto le vesti del profano.

 

Depressione

Da un punto di vista psicologico, il male del secolo! Sia subito chiaro però che qui non parlerò della depressione endogena, di sospetta base biologica, e che insieme ai disturbi bipolari sono di spettanza psichiatrica o neurologica, anziché psicologica. Cercherò invece di tratteggiare la depressione reattiva, quella cioè risultante dalla reazione psicologica (ma a volte anche organica) di un individuo a fatti, eventi o situazioni della sua vita. La distinzione può non sembrare semplice. Di fatto non lo è… e se mi posso concedere di sembrare presuntuoso, nel corso della mia carriera professionale ho visto molti colleghi, ma anche moltissimi psichiatri e neurologi, prendere i più grossi abbagli. Certo… in parte può dipendere dalla diversa formazione di base. Ma viste le implicazioni che da una corretta diagnosi dovrebbero poi discendere, non mi stancherò mai di raccomandare a tutti, colleghi psicologi e amici medici, la più scrupolosa delle indagini.
CLINICA 6Come che sia… a prima vista il quadro è sconcertante. La persona depressa non prova più interessi, né entusiasmi. Non coltiva progetti, non accarezza sogni, non si prefigge compito alcuno e, se proprio gli si presentano alla mente, il quadro si tinge di nero: egli non riuscirà a realizzarli, le cose andranno male, non c’è alcuna speranza, il fallimento è alle porte. Comunque accadrà qualcosa che gli impedirà di realizzare le proprie aspettative.
In un vissuto del genere la volontà, sconsolata, si atrofizza. Subentra un senso di stanchezza sconfinata, di sonnolenza pervasiva, di rinuncia ad oltranza. L’individuo affetto da depressione potrebbe essere immaginato come un’auto, magari anche potente, ma avente la batteria scarica: non si mette in moto. Non parte. Piuttosto ristà.
Alexander Lowen, in una interessante monografia sull’argomento: “La depressione e il corpo”,  pone appunto l’accento sulla carenza energetica e sul fatto, importantissimo, che molto spesso tale dispendio è aumentato dagli sforzi che l’individuo deve compiere per portare avanti compiti rispetto ai quali si sente del tutto immotivato. Se fosse possibile – scrive Lowen – e purtroppo non lo è quasi mai, la migliore cura aggiuntiva per la depressione, oltre alla psicoterapia, sarebbe un lungo periodo di assenza di compiti di alcun tipo. In sostanza una specie di “depressione forzata” volta a far ricaricare il corpo della sua naturale energia.

 

Narcisismo

Probabilmente è una delle patologie più diffuse, in una società di massa come quella moderna che induce naturalmente ad una certa esaltazione dell’Io egoico per compensare quella spaventosa condizione di anonimia nella quale tutti viviamo.
Il paradosso, ben raccontato e documentato da Alexander Lowen, è che, nonostante il fatto che la sindrome sia ben conosciuta e la prognosi ottimistica, in pratica il narcisismo è il grande assente dagli studi di psicoterapia. Ed il motivo è ovvio: nutrendosi della miglior considerazione di sé che si possa immaginare, quale narcisista potrebbe mai essere così “umile” da sentire la necessità di confrontarsi con un altro essere umano attribuendogli una competenza ed una autorità superiore alla propria? Se non fosse drammatica, questa situazione potrebbe essere risibile.
CLINICA 7L’origine del termine è di dominio pubblico: prende spunto dalla vicenda di Narciso che, innamoratosi perdutamente della propria immagine, riflessa in uno specchio d’acqua, dopo aver rifiutato tutte le profferte d’amore fattegli da ninfe e comuni mortali, finì per suicidarsi (pur non volendolo) gettandosi nelle acque del lago in un tentativo drammatico quanto inane di congiungersi con la propria immagine riflessa.
Al livello psicodinamico la propensione al narcisismo rimanda ad una carenza grave o ad un eccesso, altrettanto grave, di attenzioni affettive durante i primissimi anni dello sviluppo. Carenze o eccessi che si trovano così a compromettere la risoluzione di quella fase, sana e naturale, del processo evolutivo chiamata appunto “narcisismo primario”. La sindrome narcisistica, infatti, protrae indefinitivamente nel tempo quello che avrebbe dovuto essere soltanto una fase evolutiva provvisoria.  Il risultato é quello di individui adulti che ancora pretenderebbero di essere considerati il centro del mondo e di avocare a sé tutte le attenzioni e i consensi della gente che li circonda. Come corollario queste persone non prestano alcuna attenzione agli altri, alle loro difficoltà o ai loro successi; non tanto per insensibilità, competitività o gelosia, quanto per un reale, autentico disinteresse. La loro attenzione, il loro amore è incentrato solo e soltanto su se stessi.
Si sbaglierebbe tuttavia di molto se si ritenessero tutti costoro “abitati” da un Io forte e ben strutturato. In realtà essi possiedono un Io bambino, timoroso ed impaurito di confrontarsi apertamente con la vita e con gli altri.

 

Ossessività compulsiva

Una mia paziente di tanti anni fa era stata figlia di una madre ossessiva-compulsiva. Rammentando la propria infanzia ricordava così una giornata tipo: la mattina tutti (padre, madre e due figlie) si alzavano alle 7 e facevano colazione. Quando il padre usciva per andare al lavoro, tutti i giorni arrivava una donna delle pulizie che dalle 8 alle 11 spazzava, lavava e rassettava la casa, sorvegliata da vicino dalla madre. Quando però la domestica aveva finito e lasciava la casa, la mamma ricominciava a pulire e a lavare da capo bagni, cucina e camere da letto, perché si sa: con tutti i germi che ci sono in giro… Soprattutto i letti venivano rifatti con una cura meticolosa, facendo attenzione che nessuna piega ne rovinasse la superficie.
Se le bambine giocavano, dovevano usare le bambole una per volta, e prima di prenderne una seconda, dovevano mettere a posto la prima, sullo scaffale, ben in ordine… Verso le 14,30 la famiglia riunita condivideva il pranzo. Poi, tutti insieme, lavavano i piatti, pulivano la cucina, toglievano le briciole dal pavimento e alla fine facevano un piccolo riposino pomeridiano: tutti e quattro sdraiati per terra, sul tappeto del salone, per non rovinare i letti che erano stati rifatti con tanta amorevole cura…
CLINICA 8Follie di questo tipo sono molto più comuni di quanto si pensi: l’ossessivo compulsivo è un maniaco dell’ordine, della pulizia e, più in generale, un attento esecutore dei più inimmaginabili rituali. Il disordine, la sporcizia o la perdita dei modelli ripetitivi e stereotipati di comportamento giornaliero possono generare in lui un’ansia incontenibile. Sempre generalizzando al massimo, e non tenendo conto della singola storia personale, potremmo dire che l’ossessivo compulsivo vive un’angoscia profondissima nei confronti della vita, della sua imprevedibilità e dei suoi aspetti ingovernabili. Questa smisurata, esorbitante, intollerabile angoscia è da lui contenuta attraverso una forma diretta o indiretta di controllo simbolico della realtà: la pulizia, l’ordine, gli oggetti disposti in un certo modo, i comportamenti stereotipati, assolvono la funzione di rassicurarlo, illudendolo di poter così governare la propria vita. L’imprevedibilità degli eventi, il disordine, lo sporco e, spesso, associati ad esso, la sessualità, la passione, la malattia o la morte – per la loro capacità di dissolvere l’Io ordinario - sono temuti più di ogni altra cosa al mondo. La verità è che la struttura della personalità dell’ossessivo compulsivo è fragilissima, perciò si irrigidisce in uno sforzo titanico volto a mantenere un controllo simbolico su tutto ciò che lo circonda.

 

Ipocondria

La malattia dell’ipocondriaco è il “timore della malattia”. Cosa per cui non è affatto vero che il malato immaginario non è malato, perché la sua patologia, spesso gravissima, consiste appunto in un timore sconsiderato verso qualunque forma di malattia. Un timore immotivato, quasi sempre “fantasmatico”, ciò nonostante pervasivo, assillante, devastante, capace di inquinare e avvelenare qualunque altra sua esperienza di vita: il lavoro come le attività del tempo libero, l’amore come qualsiasi altra passione.
CLINICA 9Sarebbe tuttavia importantissimo, in un ambito come questo, poter sempre contare su una diagnosi differenziale rispetto al timore manifestato da alcuni individui verso specifiche patologie. Così, ad esempio, ci sono uomini o donne che spesso vivono una continuativa apprensione verso l’infarto, il tumore o, più recentemente, verso l’HIV.  Tutti questi casi non vanno confusi con l’ipocondria, in quanto le malattie temute hanno un significato simbolico specifico riconducibile ad un altrettanto specifico vissuto del paziente in esame.
L’ipocondria vera e propria, piuttosto, è rappresentata dal convincimento assoluto di aver contratto una qualche forma “generica” di male oscuro che, nella genericità appunto, può costantemente variare. Una volta scartata la presenza di un cancro, sarà la volta dell’ipertensione arteriosa, e una volta scartata quest’ultima sarà il funzionamento cardiaco ad essere sospettato. Almeno fin tanto che lo stomaco, o i reni o il fegato non siano pronti a manifestare i loro specifici sintomi. Molto spesso le persone affette da questa sindrome hanno una conoscenza medica e farmacologica superficiale ma enciclopedica, tale comunque da poter controbattere a qualunque scrupolosa rassicurazione dei medici consultati, ancorché specialisti. Il malato è convinto della propria malattia e della incapacità professionale di tutti coloro che non sono disposti a concordare con lui.
Il paradosso, in tutte queste situazioni, è che stando alle ultime scoperte dell’ipnosi clinica, o a quelle del biologo molecolare Lipton (che ha descritto attraverso quali meccanismi cellulari le credenze e i convincimenti delle persone si trasformino in realtà corporee), è abbastanza frequente il fatto che l’organismo di queste persone “teatralizzi” la patologia individuata, mettendo in scena sintomi specifici in grado di aggravarsi tanto più, quanto più negati da familiari, amici e medici specialisti. In molti di questi casi, infatti, il sospetto terribile è: “Che ne sarebbe della vita di questa persona se si liberasse da questa ossessione? Avrebbe obiettivi, progetti ed entusiasmi in grado di motivare la sua vita? O è proprio la paura delle malattie a mantenerla in vita?”

 

Gelosia nevrotica o delirante

La gelosia è un fenomeno umano che possiamo considerare naturale. Se e quando amiamo, ci aspettiamo di essere riamati. Sappiamo che l’amore è un dono gratuito che facciamo ad un altro essere umano; e sappiamo che solo altrettanto gratuitamente può esserci restituito. Ma in fondo in fondo ci aspettiamo – e forse potremmo anche dire: esigiamo - che questa restituzione avvenga. E se e quando ci accorgiamo che la persona che amiamo rivolge le sue attenzioni ad un altro, ne soffriamo, anche atrocemente, protestiamo (come se ne avessimo il diritto), e usiamo tutti gli stratagemmi possibili per riconquistarci la sua attenzione amorosa. Comunque sia, la gelosia sana e naturale non tormenta la nostra vita ordinaria di relazione più di tanto. Si attiva solo se l’altro effettivamente ce ne da motivo attraverso tutta una serie di mancanze, distrazioni o palesi tradimenti.
La gelosia nevrotica, invece, non ha nulla a che spartire con tutto questo. Piuttosto è preventiva, permanente e fantasmatica. Sempre pronta a scatenare le proteste di colui o colei che ne soffre al più piccolo accenno di trascuratezza, stanchezza o disinteresse dell’altro, o al più minuscolo segnale di apprezzamento che altre persone possano mostrare nei confronti del loro oggetto d’amore.
Al livello psicodinamico le motivazioni sottostanti sono due: o inconfessate e inconfessabili fantasie trasgressive proprio da parte della persona gelosa che, appunto perché inconsce e negate a se stessa, vengono proiettate sul proprio partner. Oppure perché il grado di autostima, amor proprio, consapevolezza autentica di sé e del proprio valore come persona è talmente basso e inconsistente da far ritenere qualunque altro rivale ben più meritevole di interesse e di amore. Nel primo caso si teme ciò che si teme da se stessi. Nel secondo caso si teme il mondo, perché non ci si ritiene così importanti o significativi da meritare l’apprezzamento permanente di un altro essere umano. Senza neppure sospettarlo, in verità, in questo secondo caso, si regredisce ad un livello infantile. Un mondo emozionale arcaico all’interno del quale permane la convinzione che solo chi vale qualcosa meriti di essere amato. Come se solo i belli, o i ricchi, o gli intelligenti, o i colti, o che so io possano aspirare all’amore, negando la realtà del fatto che il mondo non ha mai funzionato così.
La gelosia delirante, da un certo punto di vista, potrebbe essere immaginata come un’amplificazione esorbitante della gelosia nevrotica, anche se, in realtà essa sottende una struttura della personalità psicotica o quanto meno borderline. Come che sia, in questo caso gli elementi che potrebbero giustificare lo scatenamento della gelosia sono del tutto assenti. Al loro posto segni, tracce, indizi, voci, prove, circostanze e fatti del tutto “immaginati” ma aventi, per la persona gelosa, una assoluta valenza di realtà. Sono questi i casi dalla prognosi più infausta, perché possono indurre colui che ne è affetto a qualunque gesto estremo e perché presuppongono, per poter essere curati, dell’effettivo risanamento della struttura psichica del soggetto.


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aggiornata il 01-04-2014

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