Ma Quale Sesso e Sesso

di Piero Priorini


maqualesesso 1Tutti lo facciamo e, addirittura, ne abusiamo. O, almeno… così sembra.
Ragazzi e ragazze, infatti, sempre più spesso iniziano giovanissimi la propria educazione sentimentale e la continuano poi – una volta raggiunta la maturità - in un carosello di incontri che solo trent’anni fa sarebbe stato inimmaginabile. E non è più così raro, o appannaggio dei soli uomini, riuscire a tenere in piedi due, tre, addirittura quattro rapporti in contemporanea. Il tradimento reiterato del proprio partner, quando non viene sbandierato come se fosse una dote, comunque è dialetticamente giustificato e quindi discolpato. Su Internet, la ricerca di amanti più o meno occasionali dilaga, accompagnata da descrizioni dettagliate della propria avvenenza e da foto comprovanti la veridicità di tali affermazioni. Il turismo sessuale è praticato con sempre maggior frequenza in tutti i paesi del terzo mondo. Coppie anche molto giovani cercano coppie simili per liberi scambi. E sempre più frequenti sono quelle che cercano invece giovani prestanti per esperienze complesse dove uno dei due (in genere l’uomo) “guarda” le capriole che l’altra esegue con l’altro. Le videoteche delle città sono stracolme di film porno che, con il loro numero impressionante, si aggiungono all’altrettanto impressionante numero di video amatoriali che circolano sempre su Internet, recitate e girate in diretta dall’impiegato comunale e dall’inquieta casalinga. Nelle più piccole e anonime città di provincia, perfino in alcuni piccolissimi centri rurali, è possibile trovare un sexy-shop dove acquistare un DVD, un vibratore o un corpetto di pelle nera, con stivali alti e relativa frusta.
E a “spiegarci” tutto questo, o ad ottimizzarlo, ci pensano i media: “Cento modi per far impazzire lei”, “Cento modi per fare impazzire lui”, “I segreti dell’orgasmo”, “La gioia del sesso”, sono solo alcuni dei titoli più sobri che occhieggiano dagli scaffali della maggior parte delle librerie; mentre non c’è in pratica rivista, settimanale o quotidiano che non dedichi all’argomento almeno qualche pagina. E per finire, dovunque capiti, a cicli continui, si organizzano conferenze, dibattiti, convegni, tavole rotonde…
Insomma, anche sul piano commerciale il sesso è un prodotto che si vende bene.
Anzi… troppo bene.
Al punto che la cosa dovrebbe risultare sospetta.
Perché – dovremmo infatti chiederci – siamo tutti sempre così curiosi e bisognosi di annotazioni, descrizioni, spiegazioni, interpretazioni, rassicurazioni e risoluzioni varie? Non abbiamo forse realizzato una piena libertà dei costumi? Non abbiamo forse scoperto – con Freud - che tutto è riconducibile al sesso e che, grazie alla sua libera espressione, saremo sempre più appagati e soddisfatti? Non abbiamo forse a disposizione tutte le libertà possibili e immaginabili?
Perché allora siamo tutti così ansiosi? Come mai avvertiamo, tutti, chi più chi meno, magari in maniera oscura e appena intelligibile, che “qualcosa” sembra invece voler sfuggire alla pienezza della nostra coscienza e, nonostante tutte le apparenze, voler denunciare un malessere che le libertà acquisite non riescono ad occultare?
Non sarà per caso che tutte queste ostentate conoscenze e sicurezze siano solo un bluff sotto il quale si cela l’inconfessabile ammissione che, ancora, siamo di fronte ad un mistero? Non sarà per caso che la coscienza collettiva, mal educata dalla superficialità della comunicazione di massa, abbia finito per appropriarsi solo del guscio vuoto dell’attuale sapere? Non sarà forse che la visione moderna della nostra sessualità sia tutta da rivedere?
Mi rendo conto che un tema come questo, per la complessità e la spigolosità che lo contraddistinguono, meglio si presterebbe ad un saggio di ampio respiro che non ad un breve articolo come quello che sto scrivendo. Farò tuttavia un estremo sforzo di sintesi e cercherò di racchiudere in poche pagine il mio pensiero.

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E allora vediamo: tanto per cominciare, quello che sappiamo per certo è che in tutti gli esseri viventi la sessualità svolge l’imprescindibile funzione di assicurare la riproduzione della specie, e che molti dei comportamenti degli uomini e delle donne moderne, nell’ambito delle relazioni, non sono altro che la trasformazione acculturata di più arcaici meccanismi biologici.
E, tuttavia, proprio questa traslazione culturale fa la differenza.
Se infatti nell’animale la sessualità si manifesta nella sua più pura ed originaria funzione, perché volta al raggiungimento di uno scopo trascendente l’interesse di ogni singolo individuo, con l’uomo questa stessa funzione – pur conservando le proprie originali radici – si è egoicizzata. In altre parole, nel corso dei millenni che raccontano la nostra storia, la sessualità si è lasciata afferrare da ogni singola individualità umana e, in un certo senso, si è messa al suo servizio.
Basti pensare che secondo le più recenti ricerche scientifiche, salvo rarissime eccezioni, l’atto sessuale è sperimentato dall’animale più come espressione di una necessità, di una coazione imprescindibile, piuttosto che come un piacere da godere e da ricercare. E’ solo con l’uomo che il piacere si lega, indissolubilmente, alla funzione riproduttiva. Con ciò trascendendola. Nel corso dei millenni, infatti, l’incontro umano sempre più raramente è stato perseguito per esclusivi fini riproduttivi; uomini e donne si sono appropriati del rituale di accoppiamento ricavandone non solo piacere personale ed equilibrio psico-fisico, ma intuendo in esso quelle valenze e quei significati simbolici che, seppur presenti anche nella sessualità animale, solo nel pensiero cosciente dell’uomo possono svelarsi. Per quanto possa sembrare azzardato in una realtà culturale povera e svilita come la nostra, la verità è che ogni uomo – se solo lo volesse - potrebbe arrivare a redimere le possenti forze cosmiche che sono all’origine dell’impulso sessuale biologico e a restituirle alla loro natura di Luce. Solo nell’uomo, infatti, la sessualità può farsi teofania e manifestare il sacro che la pervade.
Tuttavia, prima di arrivare a tanto, ben altre sono le tappe evolutive intermedie che la sessualità umana deve prima attraversare.
Anche soltanto prima di poter godere dell’erotismo in quanto tale, infatti, l’essere umano deve compiere un lungo cammino, che inizia nel periodo fetale e termina nell’età adulta. Fondamentali, all’inizio, sono i contatti epidermici con la madre (coccole, carezze, baci, parole dolci sussurrate, odori, sapori) e la risposta benevola dell’intero ambiente umano ai fondamentali bisogni del nuovo individuo. Contatti epidermici piacevoli, risposte adeguate ai bisogni primari e ambiente familiare favorevole alla intimità sessuale degli adulti - intesa come valore positivo - sono infatti elementi indispensabili per la nascita e il primo sviluppo della sessualità futura del bambino.
La seconda tappa si compie con la pubertà, sotto la spinta possente degli ormoni. In questa fase l’Altro, come compagno con cui condividere il piacere, non è ancora molto importante. Più essenziale è la scarica orgasmica in quanto tale (masturbazione) e la comparsa dei primi fantasmi erotici (immagini mentali che sono la combinazione di costumi culturali acquisiti e creatività personale). Coazione ed urgenza sono le caratteristiche essenziali del momento.
La terza tappa si compie infine nelle prime relazioni di coppia, nelle quali però – se anche inizia appena a delinearsi il piacere condiviso, proprio dell’eros più maturo – ben più sostanziale, in verità, è la richiesta inconsapevole che ogni giovane uomo e ogni giovane donna rivolge alla propria sessualità di attestare e certificare la propria identità di genere. Come vedremo meglio tra poche righe, l’eros trova spazio nella vita sessuale di ciascun individuo solo se lo sviluppo psicologico e sessuale gli ha consentito di raggiungere una identità sufficientemente solida da liberare il rapporto sessuale dal compito di conferma che lo caratterizza nelle prime esperienze.
Questo passaggio, in verità, è un effetto “malato” del nostro tanto decantato progresso civile; nelle antiche culture, infatti, specifici riti erano incaricati di svolgere questo compito e realizzavano di fatto l’attestazione di status di uomini e donne. Così, ad esempio, in Africa, ancor oggi, presso i Masai, una volta che l’adolescente maschio ha raggiunto una certa età e si sente maturo per affrontare le relative prove di iniziazione, è previsto che egli esca dal recinto protetto del villaggio e, nella più totale solitudine, armato solo di una lancia e di un pugnale (sul cui evidente significato simbolico preferisco sorvolare), affronti ed uccida un leone. Come occidentali moderni possiamo pure inorridire di fronte alla spietatezza del sistema e accampare mille forbite ragioni (per lo più astratte) sulla inumanità dei Masai. Ma di fatto il risultato è che quando il giovane torna sano e salvo dalla prova (e da quello che ho potuto appurare sul campo la maggior parte ritorna), egli è un uomo a tutti gli effetti. Un guerriero che mai verrà sfiorato dal più piccolo dei dubbi sulla propria identità e, per riflesso, sulla propria virilità, come invece purtroppo accade ad un elevato e insospettato numero di maschi della nostra così tanto “evoluta” civiltà. Riti analoghi, anche se ovviamente diversi, perché fondati sulla conoscenza dei sacri misteri del sangue, della vita e della morte, sono previsti per le giovani masai le quali, una volta iniziate, non hanno davvero motivo di mettere in dubbio la propria identità di donna come purtroppo accade a molte ragazze occidentali.
Il fatto è che la nostra società non possiede più nulla che sancisca una volta per tutte e senza possibilità di appello il raggiungimento e il superamento delle varie fasi dello sviluppo psicofisico, e lascia perciò gli individui – maschi o femmine che siano - preda di dubbi e di fantasmi che solo un’ingegnosa e personalissima capacità creativa può riuscire ad aggirare: a volte in maniera soddisfacente e positiva. Altre volte, purtroppo, in maniera parziale, incompleta e, dunque, insoddisfacente; non di rado attraverso occultamenti e coperture di ogni sorta.
Ma quando la sessualità viene indebitamente caricata del compito di confermare l’identità di genere – perché la centralità psicofisica dell’Io non è stata raggiunta - difficilmente può essere soddisfacente e gioiosa. Più spesso è anticipata da un’ansia di attesa corrosiva, viene vissuta secondo modalità coattive e non autentiche, e lascia inalterati e insoluti i dubbi che avrebbe invece dovuto dissolvere.
Non saprei davvero dire quanti giovani (e non più giovani) ho incontrato, nella mia attività professionale, che dissipavano tutte le proprie energie nel tentativo di dimostrare ad uno spietato censore interno la raggiunta identità di genere; ovviamente senza potervi riuscire. Nascono così le ossessioni legate al corpo, inconsciamente usato come capro espiatorio, che viene osservato e soppesato prima, e poi plasmato, modellato, tirato, affamato, tatuato, “rifatto” nelle sue presunte parti insufficienti (labbra, tette, glutei, peni), in un orgia di ostentazione che è pari soltanto alla sua stessa vacuità. Quasi mai il vero obiettivo è raggiunto e la sessualità che ne scaturisce, anche se molto spesso può sembrare libera e disinibita, in realtà è povera e deludente, e il piacere resta confinato, nel migliore dei casi, nel ristretto spazio della monade egoica di ognuno dei due partecipanti.
La quarta tappa, quella dell’autentica e libera espressione dell’eros (ben differenziato dalla più semplice sessualità), si realizza solo e soltanto dopo la strutturazione di una solida identità personale. Occorre infatti coraggio per incontrare davvero l’altro come Altro-da-Sé, ed esplorarlo lasciandosi liberamente esplorare, ascoltarlo ed essere ascoltati, comprenderlo, venerarlo, perdersi in esso senza condizione alcuna e poi ritrovarsi, solo ed esclusivamente in virtù della forza centripeta del proprio io. Quando ciò si realizza la sessualità finalmente si trasforma in eros. Un eros che era invece rimasto latente in tutte le tappe precedenti. Ciò che lo caratterizza è la qualità del piacere, non più confinato alla scarica orgasmica, ma identificato e vissuto nel gioco, nella creatività e condivisione con l’altro, e la cui massima intensità si raggiunge all’interno di una relazione emotivamente significativa.
Già… per quanto possa sembrare sovversivo affermarlo oggi, qui, in una società apparentemente libera e spregiudicata, dove tutto è permesso e giustificato, l’eros è esclusivo appannaggio di quei  pochi individui che hanno realizzato pienamente se stessi e che appunto perciò non hanno paura d’amare. Magari anche per una sola notte.
“L’erotismo è sottile magia – scrive A. Varone nel suo libro: L’erotismo a Pompei – E’ un luogo indistinto fra spirito e sensi… e nonostante esso sia legato imprescindibilmente al sesso, si trova agli antipodi della cruda sessualità.
L’esperienza erotica, infatti, è caratterizzata dal piacere nella sua globalità e dalla pervasiva presenza del sentimento, della stima, della complicità, dell’amicizia e del rispetto per l’altro. E se pur è vero che la trasgressione può essere considerata uno dei suoi più potenti alleati, altrettanto vero è che la stessa intensità può essere raggiunta dalla coppia stabile nella quale il desiderio non è più alimentato dall’attesa incerta di poter incontrare uno sconosciuto-altro con cui condividere chissà quale novità erotica, bensì dalla anticipazione-certezza di poter rincontrare l’amato conosciuto, portatore di un piacere intenso e garantito, eppure mai sufficientemente sperimentato perché aperto sull’abisso insondabile della creatività…
La quinta tappa infine è discrezionale, e strettamente dipendente dal back ground culturale e spirituale di ogni singolo individuo. O meglio, discrezionale è la sua acquisizione cosciente, perché la natura spirituale delle forze dell’eros (cui accennavo fin dalle prime righe di questo articolo) è pur sempre la stessa, fin dall’inizio, solo che occorre del tempo alla coscienza umana per poterla acquisire. Ammesso, ma non concesso, che manifesti una libera volontà in tal senso.
Gli antichi già conoscevano questo mistero, e ancora una volta avevano predisposto rituali ben precisi che propiziassero una tale acquisizione: i Misteri Dionisiaci rappresentano solo i più conosciuti tra questi; e solo i 2000 anni di feroce repressione della sessualità e della donna da parte delle tre grandi religioni monoteistiche e patriarcali (di cui il cattolicesimo forse è la peggiore) hanno potuto oscurare e far dimenticare del tutto tali conoscenze.
Resta però il fatto che nell’amore umano, e ancor più specificatamente nella sessualità umana matura sono presenti potenti forze cosmiche che, in occulto, da sempre agiscono sul nostro pianeta. Al lettore interessato non mi resta che consigliare la lettura del saggio: “Il significato dell’Amore” scritto da colui che, quasi all’unanimità, è considerato l’ultimo dei grandi filosofi dell’epoca  moderna: Vladimir Solov’ev. Oppure ancora, a piacere – purché originale dell’epoca storica in cui fu sviluppato - uno dei tanti testi sacri del tantrismo orientale.
Ma abbandoniamo tali considerazioni, troppo complesse per questo piccolo articolo, e riprendiamo il discorso là dove lo avevo iniziato. Siamo davvero così sicuri che la nostra tanto decantata libertà sessuale sia quello che afferma di essere? Anche a prescindere del tutto da quella che ho indicato come la quinta tappa del processo evolutivo dell’eros, siamo davvero tutti così ingenui da non accorgerci che la maggior parte dei noi, uomini e donne moderni-occidentali, non raggiunge di solito nemmeno la quarta tappa di tale processo? Ed è davvero così poco evidente la sosta forzata di molti nella terza, se non addirittura nella seconda, delle tappe sopra descritte?
Evidentemente si… se facciamo tutti finta di non sapere che un elevatissimo numero di donne sono anorgasmiche o hanno comunque perso – dopo una giovinezza in apparenza sana e soddisfacente - interesse e desiderio per i momenti dell’intimità. Evidentemente si, se ci sforziamo di ignorare che un numero imprecisato di uomini soffre di disfunzioni erettili, eiaculazioni precoci e, per dirla fino in fondo, di vere e proprie incapacità amatorie.
Ma la cosa ancor più straordinaria, la disarmante follia che caratterizza la nostra società, è che certe disfunzioni della vita sessuale collettiva appaiano addirittura il contrario di ciò che sono: e cioè sesso spinto, o sfrenato, anziché sintomi clinici di instabilità psicofisica.
Se ne era accorta già molti anni or sono la psicanalista Louise J. Kaplan, che nel suo celebrato testo  “Perversioni femminili” del 1992 dovette per prima cosa correggere l’idea generale che le perversioni (sia maschili che femminili) fossero avventure erotiche spontanee, cioè sesso spinto intrapreso nello spirito di una sessualità liberata.
Ciò che rende infatti malata una perversione, scrive L. J. Kaplan: …è la strategia mentale che usa l’uno o l’altro stereotipo sociale di virilità o di femminilità in modo da ingannare l’osservatore sui significati inconsci dei comportamenti che egli ha davanti agli occhi…. Ciò che distingue una perversione è la sua qualità di disperazione e fissità. La performance perversa è interpretata da chi non ha altre scelte, da chi altrimenti sarebbe sopraffatto dall’ansia, o dalla depressione o dalla psicosi…. Il sesso spinto è solo una parodia dello spirito d’avventura. Nei fatti, esso serve a placare i demoni personali.
In altre parole la perversione è una strategia psicologica, una sorta di Grande Recita, sponsorizzata dall’io inconscio, nella speranza di poter ottenere un piacere altrimenti irrealizzabile. Lo scenario fantastico usato è tutt’altro che casuale: in realtà è l’unico che con il proprio significato simbolico permette all’io di sconfiggere provvisoriamente il proprio fantasma e così accedere ad un piacere altrimenti inibito.

Due casi clinici, tratti dalla mia personale esperienza di terapeuta, sono altamente esplicativi.

Il primo è quello della signora Rossi (il nome ovviamente è inventato): 32 anni, sposata da circa sei e profondamente innamorata del proprio marito. Arriva in terapia appunto perché la sua “metà” minaccia di divorziare se lei non farà qualcosa per cambiare le rigide abitudini sessuali con le quali da sempre conduce il menage familiare. Abitualmente, infatti, la signora Rossi – quando è afferrata dal desiderio – veste abiti succinti, si trucca in maniera pesante e volgare e, così conciata, si presenta al proprio marito. A questo punto il signor Rossi deve chiederle “quanto voglia...” per le sue prestazioni, fare finta di pagarla e poi, trattandola come una donnaccia da marciapiede e usando un gergo quanto più possibile osceno, pretendere tutte le soddisfazioni possibili.
Così – ma appunto solo così – la signora Rossi è in grado di apprezzare l’atto d’amore e di avere un pieno godimento. Qualunque variazione, anche piccolissima o occasionale, al rituale su riportato la lascia fredda e indifferente, incapace di relazionarsi intimamente al proprio uomo che, dopo sei anni di recite, alla fine giustamente si è stancato e minaccia di lasciarla.
Se ora isolassimo il comportamento sessuale della signora dal contesto psicologico nel quale si realizza, e lo rendessimo di dominio pubblico, è molto probabile che otterremmo ampi consensi: chi non apprezzerebbe un gioco erotico come quello su riportato? Quale donna non si augurerebbe di avere un’altrettanta spregiudicatezza e libertà, e quale uomo non desidererebbe una altrettanta fantasiosa complicità nella propria partner?
Isolata dal contesto psicologico, come non scambiare la nevrosi della mia paziente per una libertà senza confini? Quanti sarebbero capaci di individuare il male dell’anima dietro tanta ostentata spregiudicatezza? Quanti ne rileverebbero il carattere di “fissità” e “disperazione”?
Il “sesso spinto” della signora Rossi celava in realtà una feroce colpevolizzazione della sessualità umana in quanto tale, contratta nella famiglia d’origine prima, e rinforzata poi in una scuola di suore. Una colpevolizzazione dalla quale era derivata una consequenziale inibizione dei propri impulsi e desideri. In un tale contesto, all’io della paziente, che rischiava di vedersi preclusa per sempre l’esperienza del piacere e dell’incontro profondo, non era restata altra strategia se non quella di costruirsi una fantasia inconscia nella quale essa si immaginava vittima innocente di un fantomatico sfruttatore che la costringeva a battere il marciapiede. La coercizione inconsciamente immaginata deresponsabilizzava la donna, permettendole così di accedere a quel piacere che l’assenza dello sfondo teatrale non le avrebbe invece concesso. La mascherata eludeva l’angoscia e permetteva l’orgasmo.
Altro che sesso spinto!
Ci vollero tre anni di analisi per disattivare il meccanismo.

 

Il secondo caso è invece quello di un giovane uomo di 29 anni (che chiameremo ancora una volta sig. Rossi) e che è il primo ballerino di uno dei più prestigiosi gruppi di ballo della RAI (tutti i dati sono ovviamente alterati). Alto 1,78, fisico asciutto ma atletico, capelli biondi, lunghi, raccolti in un codino, occhi azzurri e penetranti; il mio paziente era davvero bello come il sole e, in parte per questo fascino naturale, in parte per una sua peculiare predisposizione interiore, quasi ogni notte dormiva con una donna diversa. Il “quasi” era dovuto al fatto che da quattro anni Rossi era stabilmente impegnato con una “bella e potente” signora di dodici anni più grande di lui, e che ogni tanto, di notte, lo esigeva vicino.
Arriva in analisi perché stravolto e devastato dal comportamento di questa donna la quale, almeno a sentir lui, non lo farebbe sentire apprezzato, stimato e amato nella maniera intensa e unica che lui pretenderebbe.
Isolata dal contesto psicologico del sig. Rossi l’incongruenza delle sue aspettative sarebbe sconcertante: infedele abituale (per sua esplicita ed ingenua ammissione) trasgressore indefesso, acritico e perciò dunque impenitente, egli pretenderebbe tuttavia dalla propria donna una attenzione molto vicina all’adorazione. Una sorta di devozione amorosa che, rassicurandolo sul proprio valore virile, lo legittimasse a continuare a comportarsi come di fatto si è sempre comportato. Ma il più bello è che, non ricevendo tale rassicurazione, ma venendo trattato con scostante sufficienza dalla donna in questione, egli risulta tuttavia incapace di ribellarsi ad essa né tanto meno di lasciarla per ricercare un altro amore. Le decine di rapporti occasionali che realizza sotto la falsa scusa del libertinaggio servono infatti solo ed esclusivamente per sedare i mille fantasmi che lo divorano.
Agli occhi del mondo il mio paziente risulta essere un vero play boy, un giovane uomo spietato che ogni sera ghermisce una nuova preda e ne ottiene i favori.
Chi, se uomo, non lo invidierebbe? Chi non vorrebbe vestire i suoi panni, almeno per un breve tempo, e soddisfare così tutte le proprie fantasie? E quale donna (al di là di stereotipate condanne morali) sarebbe incapace di apprezzare in lui il “maschio dominante”, portatore di una sfida irrinunciabile?
In realtà Rossi è un “Puer Aeternus” (un eterno bambino, secondo la psicologia di C.G.Jung) o, meglio ancora, un “Son Lover” (un figlio-amante, secondo la terminologia di E.Neumann). Cioè a dire un uomo con la struttura psicologica di un bambino, dominato e posseduto dalla Grande Madre della quale si incarica di soddisfare le voglie. Un moderno Narciso, o Adone o Attis… tutti giovani eroi figli-amanti al servizio della Dea Madre che del loro fallo e del loro seme si serve per fecondare se stessa.
E come Narciso, il giovane Rossi è un assiduo e scrupoloso osservatore della propria immagine: porta doppie suole nelle scarpe, per sembrare più alto di quanto non sia, ed è ossessionato dalla misura del proprio pene (che ovviamente vorrebbe più lungo). A tale scopo filma spesso i propri giochi erotici con le donne che seduce, ma non tanto per una torbida fantasia voieristica (che sarebbe del tutto comprensibile), bensì solo per confrontare poi - da osservatore esterno - il proprio pene con quello di non so più quali famosi attori porno.
Un giorno, in cui era particolarmente abbattuto, mi confessa di aver fantasticato più volte su una possibile operazione chirurgica di allungamento del pene, rimandata solo per la paura di una eventuale perdita di funzionalità del membro.
Resta comunque per lui fondamentale arrivare a sperimentare tutti i giorni la scarica orgasmica, come in una sorta di compulsione che, in assenza di un’amante compiacente, lo costringe alla masturbazione.
Anziché erotismo, la vita sessuale di questo giovane uomo racconta ed esprime la sua angoscia. La profusione di energie che deve dispiegare per tenere a bada i propri innumerevoli demoni. La fatica che deve compiere per ingannare se stesso e tutti coloro che gli sono accanto.
Altro che sesso spinto!

Due esempi, per di più schematizzati al massimo, non possono e non debbono essere presi come testimonianza valida della follia di un’epoca… ma certo è che se tutti quanti aprissimo una buona volta gli occhi sulla società che come uomini e donne occidentali-moderni stiamo esprimendo, ci accorgeremmo che è profondamente disturbata. Che un po’ tutti siamo disorientati, frastornati, inadeguati, incompleti, irrealizzati, confusi, un po’ malati… e che in questa condizione psichica anche la funzione sessuale non può che essere alterata.
Abbiamo smesso di ricercare il significato più profondo della vita e inevitabilmente, allora, la sessualità – che della vita profonda è la più legittima espressione – non può che risultare vuota, contraffatta, superficiale, recitativa e caricaturale.
Altro che sesso....

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aggiornata il 14-02-2013

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