Perché in Rete

di Piero Priorini

Io vengo da un’altra epoca. Quando avevo 19 anni e superai “per il rotto della cuffia” l’esame di maturità era il 1968. In Italia si respirava allora un’aria frizzante e turbolenta nella quale guizzavano mille e più idee di rinnovamento culturale, politico e spirituale. Il tutto frammischiato e confuso in un insieme che risultava tuttavia saturo di energie vitali e, comunque, molto stimolante.
Si! Quella era l’epoca in cui nuove idee e nuove speranze circolavano liberamente per la strada. Bastava uscire di casa per incontrarle. Chi più chi meno, tutti noi giovani sentivamo l’urgenza di impegnarci e, passando attraverso una nostra personale maturazione, “rifare il mondo” e renderlo più giusto, più buono e più bello.
Inutile dire che le nostre speranze di allora sono andate completamente deluse e che, in un modo o in un altro, tutti noi abbiamo partecipato al degrado morale, culturale, politico ed economico che caratterizza la realtà nella quale oggi viviamo.  E se proprio non abbiamo partecipato attivamente a tutto ciò, come minimo siamo stai complici silenziosi di quanti, con noncuranza, hanno invece deciso di cavalcare le sinergie negative che hanno partorito questa nuova, scellerata società.
In un’epoca di così grandi cambiamenti, in un mondo come il nostro devastato da guerre sporche, terrorismo religioso, disastri ambientali, inquinamento, esaurimento di molte risorse energetiche, crollo dei mercati finanziari, disoccupazione, sovrappopolazione, criminalità comune, tensioni razziali ed egoismi sfrenati, ben poche speranze sono rimaste al singolo individuo. E se qualche anelito è sopravvissuto ci pensano i “mass media” a renderlo inoffensivo. Con una miriade di informazioni contraddittorie, quasi tutte false, ancorché ammantate di obiettività scientifica, e l’invito a partecipare senza pregiudizi a questa cultura del superficiale, dell’estetico, del lieto fine, del disimpegnato, della leggerezza, dell’apparire ad ogni costo e con ogni mezzo pur di emergere dal vuoto dell’anonimato che altrimenti tutti ci avvolge. Questa è la società liquido-moderna descritta da Zygmund Bauman, nella quale fantasmi, ansie e paure di ogni tipo circolano liberamente nell’inconscio collettivo. L’essere umano sta molto male… anzi peggio. E naviga confuso in un mare di informazioni che annullano qualunque reale comunicazione  
Come già detto, ho avuto la fortuna di nascere in un’altra epoca, distante anni luce da quella attuale. Da bambino giocavo per la strada (nel centro di Roma!), avevo 6 anni quando in casa nostra comparve la televisione e 10 quando i miei genitori acquistarono la loro prima automobile.
La mia formazione scolastica e professionale è stata perciò lenta, capillare, metodica e approfondita. E mi ha concesso una posizione di privilegio conoscitivo che, se da una parte mi ha permesso di prevedere anzi tempo la decadenza epocale di questo ultimo decennio, dall’altra, mi ha rinchiuso in una sorta di sdegnoso e aristocratico snobismo. Due lauree, un training di formazione in psicologia del profondo, un master in bioenergetica, uno in psicologia transazionale e uno in ipnosi clinica… 35 anni di pratica psicoterapeutica e un considerevole numero di eterogenee esperienze di vita mi facevano sentire sufficientemente accreditato e bastante a me stesso da esonerarmi dal confronto sia con il tecnicismo informatico emergente, sia con i nuovi stili e modelli comunicazionali.
Ovviamente sbagliavo!
Stavo rischiando il solipsismo assoluto.
La Vita, con la sua imprevedibilità, mi ha portato davanti allo specchio e mi ha costretto a guardarmi negli occhi. Mi ha costretto a riconoscere che, anziché tentare di cavalcare la tigre – come mi era stato insegnato - mi ero tenuto lontano dalla sfida. Che mi ero isolato in una gabbia e da lì, sdegnoso, osservavo il mondo nel quale la tigre imperversava. Poi la Vita - sempre lei - mi ha costretto ad aprire la gabbia e ad accettare la sfida. Non che io oggi creda di possedere chissà quale potere o strategia per tenere testa alla tigre o infliggerle una qualche significativa ferita. Però posso aggrapparmi al suo pelo e tentare di cavalcarla insieme a quanti altri, da molto tempo prima di me, hanno creduto di doverlo fare. Staremo a vedere dove la sfida ci condurrà.

cavalcare la tigreEcco… entrare in Rete, per me, ha assunto questo significato: Cavalcare la Tigre e testimoniare, apertamente, altre idee, altri pensieri, altri progetti, altre speranze da quelle stereotipate che la tigre promulga.
“Nel Mare Magnum di Internet – scrive il mio collega Nicola Ghezzani – è comparso nel corso degli anni uno strano tipo di umanità. Ovunque strani personaggi con il cervello mutato raccolgono e tessono con le loro tastiere le informazioni di prima mano che hanno sulla realtà; quindi le inviano in Rete, come messaggi in bottiglia da isole sperdute, o pulsazioni elettromagnetiche sparate nell’etere.”
Lo devo ammettere… stavo rischiando di perdere il contatto con questa Mutazione Culturale Emergente, sconfitto non tanto sul piano delle idee, bensì su quello degli strumenti tecnici necessari a testimoniare oggi la propria presenza nel mondo.
Non so se, e quanto, riuscirò a recuperare del tempo perduto. Posso solo promettere a me stesso, e a quanti vogliano raccogliere la mia promessa, che nei limiti delle mie capacità – che sono pur sempre quelle che sono - cercherò di restare in gioco e di contribuire alla sfida sempre in corso tra le forze della coscienza umana e quelle dei suoi Oppositori.

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aggiornata il 14-02-2013

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