Perchè l'Estremo
di Piero Priorini

Alcune attività estreme hanno  fatto parte della mia vita: ho imparato a sciare a soli 6 anni perciò, da  adulto, per qualche tempo ho potuto praticare lo sci-alpinismo. Ad un certo  punto ho avuto invece l’opportunità di cominciare ad arrampicare e posso oggi  affermare che l’arrampicata su grandi pareti è stata la più grande passione di  tutta la mia vita. Una passione che ho mantenuto fino a pochi anni fa, quando  l’età “avanzata” e una serie di altre circostanze, mi hanno “consigliato” di interromperla.  Mi è rimasto il volo libero in parapendio, che avendo iniziato solo una decina  di anni fa non sono in grado di esprimere al meglio, ma che promette di  offrirmi ciò nonostante, e ancora per molto tempo, grandi soddisfazioni.
A tutto questo potremmo  aggiungere i miei viaggi in 4x4 in Africa e in altre parti del mondo,  realizzati spesso in totale autonomia con la mia compagna di vita.
So bene che la maggior  parte delle persone è propensa a “giudicare” questo tipo di attività come una  sfida con la morte o un impulso suicida, oppure come un bisogno di esaltazione  narcisistica di sé o, infine, come una amore sconsiderato per il pericolo.  Ma  le cose non stanno affatto così e se anche non posso pretendere di sintetizzare  nelle poche righe di questo sito ciò che ho dettagliatamente analizzato nel  libro “Attività estreme e stati alterati di coscienza”, mi sento di ribadire  che spesso, anche se non per tutti, questo genere di attività ha riservato  delle potenzialità non indifferenti di conoscenza di sé e della realtà. Non a  caso molti protagonisti dell’estremo (da Reinhold Messner ad Alessandro Gogna,  da Jon Krakauer a Bernard Moitessier), nel raccontare le proprie avventure  hanno sempre testimoniato le trasformazioni graduali, ma radicali, del proprio  essere interiore, generate appunto dalla specifica pratica sportiva alla quale  si sono dedicati. Certo! È ovvio… ci sono persone e persone. Ed è innegabile  che molti possano vivere queste stesse esperienze solo per spirito competitivo,  per ostentazione narcisistica di sé  o,  quel che è peggio, come perversa attrazione verso la morte. Ma, appunto… ci  sono persone e persone.
Ma  le cose non stanno affatto così e se anche non posso pretendere di sintetizzare  nelle poche righe di questo sito ciò che ho dettagliatamente analizzato nel  libro “Attività estreme e stati alterati di coscienza”, mi sento di ribadire  che spesso, anche se non per tutti, questo genere di attività ha riservato  delle potenzialità non indifferenti di conoscenza di sé e della realtà. Non a  caso molti protagonisti dell’estremo (da Reinhold Messner ad Alessandro Gogna,  da Jon Krakauer a Bernard Moitessier), nel raccontare le proprie avventure  hanno sempre testimoniato le trasformazioni graduali, ma radicali, del proprio  essere interiore, generate appunto dalla specifica pratica sportiva alla quale  si sono dedicati. Certo! È ovvio… ci sono persone e persone. Ed è innegabile  che molti possano vivere queste stesse esperienze solo per spirito competitivo,  per ostentazione narcisistica di sé  o,  quel che è peggio, come perversa attrazione verso la morte. Ma, appunto… ci  sono persone e persone.
  Per me, comunque, tutte queste  attività hanno realizzato una duplice stimolazione: una intima e personale,   attraverso esperienze sul-limite che mi hanno permesso di avvicinarmi sempre di  più a quella soglia oltre la quale “l’apparire del mondo” svanisce e lascia  intravedere la Realtà della realtà. L’altra, invece, professionale. La pratica  di queste discipline, infatti, ha stimolato in me sia il desiderio di  comprendere nel modo migliore il gioco degli equilibri delle istanze psichiche  che sono responsabili del nostro ordinario stato di coscienza, sia la  comprensione in diretta di tutta una serie di fenomeni psico-corporei di cui  prima avevo solo una conoscenza astratta.
  L’ansia, la paura, il panico con  tutti i fenomeni fisiologici ad essi correlati… il blocco o comunque  l’irrigidimento della muscolatura… la stanchezza estrema… a volte, ma anche il  piacere semplice e assoluto, come quello che si è soliti sperimentare da  bambini… le virtù del respiro profondo, il controllo delle emozioni attraverso  il rilassamento e l’abbandono, la riscoperta del movimento puro, fluido ed  essenziale… la capacità di cogliere il limite reale tra ciò che si può osare,  senza mettere a repentaglio la propria vita, e ciò a cui si deve rinunciare nel  rispetto dei propri limiti. Insomma: una scuola di vita che mi è tornata  utilissima nel mio quotidiano lavoro di terapeuta. Un sapere pratico che a  volte ho fantasticato di trasmettere ai miei pazienti portandoli in parete, in  volo o tra i silenzi del grande Sahara. La società nella quale viviamo,  ovviamente, non me lo ha permesso: troppa burocrazia, controlli, leggi, norme e  codicilli vari. Troppi formalismi. Troppe difficoltà. Ma l’insegnamento è  rimasto e, in un qualche modo, mi auguro di essere riuscito a condividerlo,  sebbene in maniera astratta e ridimensionata. Comunque sia fa parte di me, ha  plasmato la mia individualità e, come  tale, sarà sempre irrinunciabile.

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