La scissione dell'immaginario erotico maschile
di Piero Priorini
Ha senso continuare a dibattere  un tema così dibattuto, appunto, come quello della latente scissione  dell’immaginario erotico maschile? Probabilmente no! Ricercatori e colleghi  hanno già sviscerato il problema esponendolo poi in relazioni, articoli e saggi  di raro acume. Di fatto, tutto quello che poteva essere detto è stato detto e  questo articolo potrebbe giustamente sembrare una pedissequa e inutile  ripetizione. Credo tuttavia che non si insisterà mai abbastanza nella denuncia  della tematica in questione. Non tanto perché si debba o si possa aggiungere,  ogni volta, qualcosa di nuovo, quanto piuttosto perché molti degli uomini di  oggi, che neppure sospettano la problematicità del proprio vissuto, trovandosi sempre  più spesso di fronte a tali denuncie, alla fine possano cominciare a  sospettarla.
  Se la disamina è abusata, non è  detto, però, che non si possa tentare di essere originali: ad esempio  rovesciando i consueti nessi di causa ed effetto e presentare alcuni di quegli  atteggiamenti interiori ed esteriori che spesso sono considerati “conseguenza”  di un determinato agire maschile, piuttosto come spinte e motivi inconsci che  quello stesso agire determinano. L’esercizio potrà sembrare sterile, o comunque  gratuito – posso immaginarlo… sono tuttavia convinto che alla fin fine ne  possano nascere spunti interessanti.
  E allora vediamo: cominciando  dalla fine, mi sentirei di affermare che il processo evolutivo della psiche  maschile, oggi come oggi, è del tutto mancante di almeno un paio di paradigmi  che sarebbero invece indispensabili a definirne la progettualità. In altre  parole, forse più semplici, direi che l’attuale immagine di “virilità” sia  completamente distorta, se non addirittura caricaturale e, dunque, inadeguata a  far realizzare ai giovani quella maturità e quell’equilibrio interiore che  sarebbero invece indispensabili in una vita adulta.
  I motivi di questo stato di fatto  sono molteplici e, come ho già dichiarato in apertura di questo articolo,  colleghi e ricercatori ben più titolati hanno individuato nella sostanziale  mancanza della figura (simbolica e reale) del Padre nella nostra società la  radice ultima di tutti questi problemi. Mi fa qui piacere segnalare ai più  curiosi dei miei lettori i pregevoli lavori di Claudio Risé: “Il Padre, l’assente inaccettabile” e “Il mestiere di Padre”; il testo di  Massimo Recalcati: “Cosa resta del Padre”,  quello di Luigi Zoja: “Il gesto di  Ettore: preistoria, storia, attualità e scomparsa del Padre”; e, per  finire, il bel racconto autobiografico di Stefano Zecchi: “Dopo l’infinito cosa c’è, Papà”.
  Come già detto, non ho intenzione  di ripetere – magari male – ciò che altri hanno già detto. Più interessante mi  sembra, invece, provare a raccogliere le osservazioni e i pensieri espressi da  tutti questi autori per individuare i due principali paradigmi la cui assenza –  anche secondo me – è responsabile del mancato processo “individuativo”  dell’uomo contemporaneo. Questi due paradigmi sono: 1) il senso di  responsabilità nei confronti della comunità e 2) il senso di protezione.
  Guardiamoci spregiudicatamente  intorno… giriamo lo sguardo… ma proviamo a farlo con gli occhi di un giovane di  quattordici, quindici, sedici anni… Cosa vediamo? Anzi, no! Cominciamo da ciò  che non vediamo: molto spesso – come già detto – non c’è traccia di un Padre  degno di questo nome. Di un uomo adulto che si faccia incarnazione del presente  storico e che, pur partecipando alla creazione di un prossimo futuro, sappia  indicare al figlio, con l’esempio e non con vuote parole, l’importanza del  proprio impegno personale nel tessuto sociale. Manca l’uomo adulto che con  infinito amore prenda la mano del ragazzino e, adeguando il proprio passo, lo  accompagni sulla soglia di uno dei tanti possibili sentieri che il figlio  potrebbe scegliere di percorrere per avvicinarsi a quell’orizzonte lontano  oltre il quale si nasconde la meta di ognuno di noi. Che lo accompagni fin  sulla soglia, e non oltre, trasmettendogli la sua fede incrollabile nelle  capacità del figlio di poter raggiungere la meta grazie alle risorse che in lui  egli intravede. Manca l’uomo adulto come Presenza amica, come punto di  riferimento fisso, certo, indubitabile, inamovibile, inattaccabile… permissivo  ma, nello stesso tempo, protettivo, sicuro, difensivo. Porto protetto, faro di  luce, rocca granitica da cui il figlio possa muovere verso l’incertezza del  proprio domani.
  Ecco. Tutto questo, oggi, molto  spesso non c’è.
  Al suo posto Padri distratti,  assenti, lontani, occupati… molto spesso ancora impegnati a ricercare il  significato della loro stessa vita. Padri ancora bambini – a volte nonostante  l’età avanzata – padri insicuri… oppure ancora padri mancanti di quei contenuti  ideali di cui i figli avrebbero invece un bisogno assoluto. Se i Padri  biologici sono assenti non meno distorti, però, risultano quelli simbolici:  insegnanti demotivati, incapaci e, a volte, autoritari ed arroganti; professori  impreparati, oppure assolutisti e dispotici, più interessati al sapere  nozionistico dei propri allievi che non alla loro formazione umana e  professionale. E, per finire, politici corrotti, bugiardi, spregevoli in  qualunque loro manifestazione; ladri, narcisisti, donnaioli di infima  categoria.
  Sul versante opposto i modelli  della notorietà: calciatori strapagati con il fisico palestrato e accuratamente  tatuato; rok star dai costumi scostumati e dissacranti; indossatori e modelli  dalla bellezza ricercata e vagamente effeminata (nonostante sia volutamente  maschilista). E poi ancora attorucoli, paparazzi, show man, ballerini,  opinionisti e “tronisti” vari che in un qualche modo hanno occupato la ribalta  pubblica e da lì, con un carisma fondato sull’ignoranza e la presunzione,  dettano le proprie opinioni come se fossero verità rivelate.
  In altre parole è come se  l’immaginario delle nuove generazioni fosse colonizzato dal culto della  personalità di omuncoli indegni che della propria vuota avvenenza, del pensiero  senza fondamento, della furbizia e della mancanza di qualunque scrupolo morale  hanno fatto business. Questo è quello che offre il mercato culturale. Sui  banchi dell’immaginario non c’è null’altro se non il successo pubblico ed  economico dell’esaltazione narcisistica. Il rovescio della medaglia è  rappresentato dal fallimento, se non addirittura dall’assenza, dell’Eroe Solare,  del Padre le cui gesta ruotano intorno ai valori dell’impegno personale,  dell’assunzione di responsabilità, dell’affidabilità certa, granitica, fedele  nel tempo… della partecipazione completa fino al sacrificio totale di sé.
  Eppure, l’archetipo dell’Eroe  Solare non appartiene solo alla storia del tempo che fu. Non è una leggenda  “datata” dell’epoca mitica. Piuttosto, è una configurazione archetipa  inalienabile, reale e concreta di cui la psiche maschile ha avuto, ha e  continuerà ad avere sempre bisogno. Mille analogie e sfumature la collegano  all’archetipo del Cavaliere che incarna l’interiorizzazione e la difesa di  alcuni valori basilari: quali la purezza, la lealtà, l’onore, l’impegno, la  difesa del più debole e, infine, la fedeltà a una donna amata, ad una causa o a  Dio.
  “La cavalleria – scriveva a tal proposito  Chevallier-Geerbrant - dà uno stile alla guerra come all’amore e  alla morte: l’amore è vissuto come  un combattimento, la guerra come un amore e ad ambedue il cavaliere si  sacrifica fino alla morte lottando  contro tutte le forze del male…L’ideale cavalleresco sembra inseparabile da un  certo fervore religioso”
  Questi, insomma, erano i  paradigmi sui quali, soltanto fino a poco tempo fa, si modellava la virilità  dei ragazzi durante la crescita… paradigmi che oggi – per tutta una serie di  motivi che sarebbe troppo lungo illustrare – sono precipitati nelle tenebre  dell’inconscio collettivo e individuale.
  Il risultato di questa mancanza  sul piano della coscienza ordinaria è che il modello di virilità a cui possono  ispirarsi i ragazzi di oggi nel corso della loro evoluzione non è più quello  della Virilità Olimpica (secondo l’accezione del termine usata da Bachofen)  bensì quello della Virilità Ctonia o Fallico-narcisitica (così ben descritta da  Alexander Lowen).
 
                
 
Molte attuali patologie del  vissuto erotico maschile, pur non originando direttamente da quanto sopra  descritto, traggono tuttavia nutrimento e rafforzamento da questo modello  distorto di virilità.
È il caso, ad esempio, della  sindrome dell’amatore compulsivo che abbraccia tutte le gradazioni che vanno  dal “Casanova” al “Don Giovanni”.
Ora sia chiaro: i primi passi  mossi dai ragazzi in quella che sarà la loro vita adulta futura non possono (e  non dovrebbero) evitare di essere condizionati e spinti dalla Libido – anche in  maniera cieca e violenta – verso la volubilità, l’instabilità e addirittura la  promiscuità delle prime esperienze erotiche. Occorre molto tempo al giovane  uomo per sentirsi sicuro delle proprie capacità virili e per soddisfare la  propria naturale curiosità verso quel “misterioso pianeta” rappresentato dalle  donne. Questa perciò sarà l’epoca “fisiologica” delle mille avventure, degli  incontri mordi-e-fuggi, oppure degli “amori eterni” bruciati nel giro di poche  settimane. Questa è l’epoca della leggerezza nonostante tutto, della novità ad  ogni costo, della passione “a tempo determinato”, della frenesia,  dell’ingordigia, e della voluttà insaziabili.
Ma ciò che è fisiologico a una  certa età diviene patologico ad un’altra… Non c’è ovviamente un limite d’età  vero e proprio ma, in generale, dovremmo immaginare che il fuoco della Libido  dovrebbe pian piano andare scemando di estensione e aumentare invece di calore  e di stabilità. E’ un momento magico nella vita di un uomo o, almeno, dovrebbe  esserlo: è il momento in cui egli dovrebbe saper convogliare il suo  “desiderare” verso un’unica donna che diverrà così il simbolo vivente di tutte  le donne possibili e immaginabili. Verso quest’unica, sola donna dovrebbero  allora potersi dirigere le sue forze di uomo adulto maturando responsabilità,  affidabilità e protezione.
Solo queste qualità realizzano la  pienezza della virilità maschile rivelandosi, a lungo termine, non solo o non  tanto doni benefici per la donna e i figli che li ricevono, quanto piuttosto  motivi intimi e segreti di stabilità, equilibrio e dignità per l’uomo capace di  esprimerli.
È ovvio che – alla luce dei nuovi  tempi - c’è sempre spazio per accorgersi di possibili errori di valutazione, di  scelte avventate, di inganni subiti o di speranze mal riposte. Nell’epoca  dell’anima cosciente, il cammino che conduce all’amore sacro è complesso e irto  di errori. Tuttavia la stella cometa che indica il cammino dell’uomo virile  dovrebbe risuonare della capacità di sacrificare le parti egoiche e infantili  di sé e del naturale desiderio di proteggere gli esseri amati. Solo queste  potenzialità possono giustificare gli eventuali errori commessi e legittimare  il desiderio, ogni volta, di ricominciare una nuova avventura.
Molto spesso, però, non è questo  il caso. Piuttosto gli uomini moderni si attardano nell’età della spensierata  giovinezza cumulando storie, incontri e avventure delle quali è difficilissimo,  se non impossibile, cogliere un qualunque autentico significato. Come ho  accennato all’inizio di questo articolo, l’impulso può derivare sia da un  atteggiamento ludico e giocoso fine a se stesso – come quello che viene  descritto metaforicamente nelle sindromi di Peter Pan e Casanova – e che Jung  ha legato invece all’archetipo del Puer  Aeternus, così come da un atteggiamento compulsivo di rapina e conquista –  come quello espresso dalla figura di Don Giovanni – il quale ultimo, al di  sotto di un evidente collezionismo numerico, mal nasconde un’ansia di  prestazione che rasenta l’impotenza vera e propria. Tra questi due estremi,  tutte le gradazioni possibili e immaginabili che oggi sono rintracciabili nel  vissuto più o meno sconclusionato di molti uomini moderni.
La patologia opposta, almeno per  quello che mi è dato sapere, non risponde ad una nosografia clinica specifica,  anche se presenta un margine di diffusione altrettanto significativo della  prima e sottende una maggiore pericolosità. Per subito intenderci, mi riferisco  qui a quella scissione dell’immagine femminile presente nella struttura psichica  di molti uomini a causa della quale essi distinguono e  separano - più o meno coscientemente – la  “brava donna” di famiglia, casta e pura, spesso madre dei propri figli, dalla  donna di piacere e dai facili costumi. La prima forzatamente immaginata virtuosa  e morigerata, interprete di una sessualità “accademica”, inadeguata a  realizzare giochi trasgressivi e priva di qualunque licenziosità erotica. In  pratica una “santa donna” che non dovrebbe neanche lontanamente essere offesa  costringendola a chissà quali capriole. 
  Queste, piuttosto, sono la  specialità della seconda, la donna di piacere, la meretrice, la sgualdrina  vogliosa, la cui turpe colpa – è incredibile questa fantasia maschile - sarebbe  proprio quella di desiderare le stesse cose che l’uomo desidera e di provare  (anche lei) piacere nel realizzarle. Con ciò, ovviamente, esaltando la voglia e  il desiderio dell’uomo.
  Credo che al fondo di questa  ignominiosa “capriola psichica” di alcuni uomini moderni si nasconda, in  verità, una terribile paura dell’eros femminile che, appunto per questo, deve  essere depotenziato e offeso attraverso un pre-giudizio moralistico. La paura  però – si badi bene – non riguarda l’esuberanza o gli eccessi dell’eros  femminile in quanto tali (da questi infatti si viene sedotti), quanto piuttosto  dal fatto che “tutte le donne” possano esprimerli. Questo, infatti, è il  pensiero tremendo: che tutte le donne possano nascondere un’incontenibile  focosità erotica. D’altra parte, un libero riconoscimento e un sano  apprezzamento dell’universalità dell’eros femminile costringerebbe l’uomo a  dover fare i conti con la figura della madre e a riconoscerla – in quanto donna  – portatrice potenziale di quegli stessi impulsi. Questo è il pensiero  inconscio, ma inaccettabile, di molti uomini che – incapaci di portarlo a  coscienza - lo risolvono spesso operando una terribile scissione nel proprio  immaginario.
  Da una parte le Madri, caste e  pure, desessualizzate, “angeli del focolare” con le quali si può copulare solo  per mettere “su” famiglia e ottemperare così alle aspettative della Patria o di  Dio; dall’altra parte le “Poco-di-buono”, le donne di malaffare, quelle  “facili” e puttane proprio perché capaci di desiderare il sesso e di provarvi  piacere.
 
              
Ed è ovvio, allora, come solo con  queste ultime l’uomo possa lasciarsi davvero andare e mostrare tutta la propria  esuberanza, la propria fantasia, la propria lascivia…
  La verità, anche se nessun uomo  “scisso” lo ammetterebbe mai sul piano cosciente, è che la loro stessa  sessualità è ambivalente. E anziché essere sempre percepita da questi uomini  come un’espressione di gioia, di piacere e di rispetto – anche là dove si  esprime nella fantasie più azzardate – si scinde appunto in una “sessualità  sporca” che viene però proiettata sulle donne con cui essi riusciranno ad  esprimerla, e una “sessualità pulita” che viene invece condivisa con le donne  che saranno le madri dei loro figli.
  Non è incredibile? Siamo nel  2012… ostentiamo una modernità che sarebbe il risultato di una lunga evoluzione  culturale, politica e religiosa… e alcuni di noi uomini si comportano né più né  meno come i più fanatici dei Talebani. Qualcosa non deve aver funzionato in  occidente se nel mio studio di psicoterapia, soprattutto in questi ultimi anni,  sono sfilati non pochi uomini con manifeste problematiche di questo tipo.  Certo… non sempre la gravità della situazione è ai massimi livelli. Molti  uomini vivono la propria maturità “accontentandosi” delle proprie  donne-mogli-madri dei propri figli e solo occasionalmente si lasciano afferrare  da una qualche tentazione trasgressiva. In apparenza saremmo lontani anni luce  da coloro che, invece, relegano la propria donna in casa e dividono il loro  tempo tra mille e una fidanzate. Ma, appunto, è solo apparenza. In realtà il  tema di fondo è il medesimo: l’incapacità di con-dividere con la propria donna  le fantasie più segrete, i giochi più azzardati, i bisogni più vergognosi. Come  conseguenza di questa mancata con-divisione, la scissione interna ed esterna  dei due partner si allarga e si approfondisce, andando ad interessare ambiti  sempre più significativi di quella che dovrebbe essere considerata una vita in  comunione.
  Lentamente, ma inesorabilmente,  gli interessi e i desideri dell’una e dell’altro si andranno diversificando, le  forze migliori dei due partner verranno impiegate per inseguire progetti fin  troppo distanti e alla fine - non sempre, ma molto spesso - i due coniugi,  piuttosto che con-vivere, finiranno per co-abitare sotto lo stesso tetto. Con  ciò perpetuando la patologia di generazione in generazione: perché l’uomo-padre  tenderà sempre più a scomparire e ad assentarsi dal vissuto dei propri figli  (maschi o femmine che siano... anche se qui ci interessa solo il vissuto dei  figli maschi). Mancherà di trasmettere loro, attraverso le parole, gli sguardi  e i gesti quotidiani, quel sano desiderio che un uomo dovrebbe sempre riversare  sulla propria donna. E i figli così abbandonati, cresciuti da una madre privata  del proprio uomo, dovranno difendersi dalle aspettative incestuose (ancorché inconsce)  che essa proietterà su di loro. Si difenderanno come potranno: spesso scindendo  il proprio immaginario, che si comporrà così di “Femmine caste e pure”,  intoccabili come le proprie madri, e “Femmine lascive”, sulle quali proiettare  la parte migliore e la parte peggiore della propria libido.
  Con ciò il cerchio si chiude,  lasciando ognuno dei protagonisti del dramma da solo con i propri fantasmi.  Solo la presa di coscienza dell’uomo divenuto finalmente adulto potrebbe  spezzare il “cerchio malefico”… La presa di coscienza di un uomo che divenisse  perciò capace di esprimere impegno civile, fedeltà ai propri cari e protezione…  ma che non mancasse di fondare tali qualità interiori sulla spregiudicatezza,  sulla curiosità e sul rinnovato desiderio di esplorare insieme alla propria  compagna di vita gli orizzonti infiniti dell’Eros.
  Per quanto possa sembrare  incredibile in un’epoca intellettualizzata come quella di oggi, un tale uomo –  che vivesse tali contenuti più che pensarli - non avrebbe bisogno di molte parole  o di chissà quali gesta per educare i propri figli: gli basterebbe essere loro  vicino.
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