La Realtà Simbolica

di Piero Priorini

simbolica 1“Tutto l’effimero non è che simbolo” asseriva Goethe, con ciò volendo alludere ad una qualche profondità di spessore – o, meglio, di significato - che sottenderebbe la superficialità delle cose.
Come uomo e, soprattutto, come terapeuta io sono stato educato così: a ricercare dietro l’apparire degli eventi la loro radice più significante. La psicologia del profondo di Carl Gustav Jung - che diverge dalla psicanalisi ortodossa appunto nel suo prediligere l’amplificazione simbolica al riduttivismo biologico di Sigmund Freud - è stata perciò la mia naturale ispiratrice.
E dunque non tanto “che cosa è accaduto?” quanto piuttosto “qual è il senso e il significato di ciò che è accaduto?”. Non più “cosa si sta facendo?” bensì “cosa farsene di ciò che si sta facendo?”.
La differenza potrà sembrare banale e di poco conto, ma posso assicurare che così non è, perché la seconda modalità di interpretare la vita psichica sancisce la differenza abissale che intercorre nel vissuto di due persone che, pur realizzando la medesima identica esperienza, ne estraggono poi effetti e significati del tutto diversi. Per questo c’è scelta di vita e Scelta di Vita, c’è fallimento e Fallimento, c’è tradimento e Tradimento, c’è perdono e Perdono.
Dopo così tanti anni di presenza “in prima linea” sul fronte dell’anima, si è oramai radicata in me la convinzione che è appunto la qualità del vissuto umano a fare la differenza. Semmai, oggi come oggi, il problema è piuttosto quello della capacità delle coscienze di approcciare una tale “sottile” eppur determinante differenziazione. Perché chi più chi meno, oggi, siamo tutti frettolosi, frenetici, distratti, generici e… immensamente superficiali. Chi volete che si soffermi ad odorare, centellinare, assaporare e gustare fino in fondo il senso ultimo del proprio operato? Chi è più abituato a trattenersi nel dubbio di una scelta, fino a maturare la consapevolezza del significato attribuibile agli effetti che da quella stessa scelta deriveranno? Chi è più in grado di penetrare nell’astrattezza del pensiero razionale e scendere giù, nel pensiero del cuore, unico “luogo metafisico” dove regna l’accordo tra pensiero e volontà?
Eppure nelle persone affette da Disturbi Alimentari (anoressia, bulimia, vomiting) il vero problema non è mai con il cibo in quanto tale, ma con ciò di cui esso è simbolo! Gli Attacchi di Panico non sono interpretabili come tempeste neuro-endocrino-immunitarie incoerenti, bensì come reazioni composte dell’organismo ai conflitti improvvisi che il soggetto intuisce nella realtà simbolica del proprio vissuto. Le Disfunzioni Erettili degli uomini non sottendono quasi mai patologie organiche, quanto piuttosto un disturbo dell’immaginario femminile. Così come, al polo opposto, molte Disfunzioni Orgasmiche delle donne alludono ad una cattiva interiorizzazione dell’immaginario maschile. E la Depressione, infine, racconta quanto sia disturbata l’immagine del Sé nel raffronto con la simbolica incombente del mondo e degli altri.
Già! Per quanto incredibile ci possa sembrare, tutta la realtà non è altro che simbolo. Tuttavia sempre più spuntate sono le armi che l’umanità sembra avere a disposizione per penetrarne il recondito significato. Un numero sempre maggiore di psicoterapie emergenti – la cui origine, guarda caso, affonda nel tecnicismo americano – si industriano di convincerci che la guarigione non necessita della comprensione “del quando, del perché e del percome”, né di tempi troppo lunghi per “elaborare o digerire” ciò che nel corso della nostra evoluzione individuale (per decenni, nel migliore dei casi) ci ha condizionato negativamente. No! Tutto questo è antico, inutile, sorpassato. Terapie brevi, anzi brevissime, si stanno facendo largo e ci promettono un risultato straordinario: la remissione dal male senza che venga messo in discussione il nostro stile di vita, la nostra visione della realtà  delle cose o le scelte che continuiamo a fare.
In altre parole la nevrosi è trattata come una ciste, o un foruncolo in suppurazione. Come un accidente slegato dal contesto, un imprevisto casuale, una evenienza sfortunata, una maledizione gratuita dalla quale sbarazzarsi prima possibile con qualunque mezzo si abbia a disposizione.
Mi sono chiesto, in questi ultimi anni, dove fosse finita l’attenzione, raccomandata dai più celebri psicoterapeuti didatti, a non aggredire alcun sintomo se non dopo aver “guarito” il male di vivere ben più profondo di cui ogni sintomo, appunto, racconta. Mi sono chiesto come fosse possibile trattare ogni patologia come se fosse del tutto slegata da qualsivoglia significato. E ho faticato non poco a comprendere che, paradossalmente, sforzarsi di rimanere fedeli al significato recondito del disagio psichico rappresenterà la sfida futura della futura psicoterapia.
Farà la differenza tra neuro-programmatori e psicoterapeuti.

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aggiornata il 14-02-2013

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